Prima la Cina, poi l'America. Federico Rampini in Italia c’è stato poco. Ma lo storico corrispondente de La Repubblica non ha mai smesso, con il lucido pragmatismo che lo contraddistingue, di commentare da oltreoceano le 'beghe' nostrane. Dal “fracasso vacuo” sugli inginocchiamenti vari ed eventuali di questi giorni alle ambizioni di una sinistra, quella italiana, che cerca visibilità e consenso sposando le battaglie ideologiche delle celebrity. Fino al rischio, con l’avvento di Draghi, di creare il solito mito di un’Italia ‘modello ammirato nel mondo’. Un punto di vista, il suo, che, rifiutando di conformarsi al politicamente corretto ormai dilagante ne smaschera le ipocrisie di fondo.
Sono iniziati gli Europei di calcio, ma in Italia si parla solo della scelta degli azzurri di inginocchiarsi o meno prima del fischio di inizio. Lei, che vive dove è nato quel gesto simbolico contro il razzismo, si è definito “molto perplesso” sulla questione. Perché?
“Quando le celebrity milionarie dello sport o del cinema o della pop-music abbracciano le cause progressiste, fanno più male che bene. I media adorano questi pronunciamenti, il popolo diffida di chi pretende di difenderlo ma vive nella stratosfera. E smettiamola di dire che sono gesti coraggiosi quando l’establishment li sostiene: di quando in qua è coraggioso il conformismo?”
Nato come movimento che difende i diritti degli afroamericani, cos’è davvero Black Lives Matter negli Usa?
“Ha origini nobili. Il razzismo nella polizia americana è una piaga reale. Abbiamo tutti visto l’orribile morte inflitta dall’agente bianco Derek Chauvin a George Floyd, una tortura per la quale il poliziotto pagherà giustamente con 22 anni di carcere. E non è l’unico caso. Ma Black Lives Matter è diventato un movimento ultra-radicale che interpreta tutta la storia americana sotto l’unica lente del razzismo. Si è alleato con le forze del politically correct che comandano nelle università, nei media, nell’editoria”.
Lei ha dichiarato che in America Blm "ha fatto più male che bene", perché?
“Ha imposto ai sindaci di sinistra in molte città americane lo slogan dissennato ‘tagliare fondi alla polizia’ Il risultato è un’escalation di crimini violenti, un’impennata di omicidi. È già in atto un ripensamento di fronte a questo disastro. Il sindaco di New York Bill de Blasio prima ha tolto risorse alle forze dell’ordine poi, zitto zitto, le ha ripristinate. Ma il danno c’è stato”.
Conosce afroamericani che non si sentono rappresentati dal movimento?
“Tutti quelli che hanno plebiscitato l’ex-poliziotto Eric Adams nella primaria democratica per scegliere il prossimo sindaco di New York. Adams è afroamericano e ha fatto il pieno di voti tra i suoi, nei quartieri più popolari (Bronx, Staten Island, Brooklyn e Queens), è arrivato secondo solo a Manhattan dove abitano i bianchi radical chic. Gli afroamericani sono le prime vittime del crescendo di violenza, quando le forze dell’ordine si ritirano e abbandonano il territorio alle gang”.
Sa che anche Giorgia Meloni ha rilanciato il suo intervento? Che effetto le fa?
“Nessuno. Ho l’abitudine di dire e scrivere quello che penso. Non calcolo in anticipo chi potrebbe appropriarsi delle mie parole. Una volta pronunciate appartengono a tutti”.
Lei è noto non certo per essere schierato a destra. Pensa che la stessa cosa a ruoli invertiti (un politico di sinistra che cita un giornalista di destra come esempio) sarebbe successa?
"Nel mio piccolo – e questa non è modestia rituale, non mi faccio nessuna illusione sulla mia influenza – cerco di spiegare alla sinistra italiana che bisogna tornare alle origini, riconquistare la rappresentanza delle classi lavoratrici. Se la destra mi cita non è una prova che ho ‘tradito’. In passato, una sinistra forte e intelligente sapeva rispettare e citare dei conservatori come Indro Montanelli, il fondatore del Giornale”.
Il tema dei diritti, oltre alle agende dei leader politici, ha monopolizzato anche il mondo del calcio. Dal gesto dell’inginocchiarsi alla proposta dello stadio illuminato arcobaleno in sostegno della comunità Lgbtq. Sentiment dominante reale o vuota retorica a beneficio d’immagine?
“Credo che in Italia ci sia ancora troppa omofobia. In America siamo più avanti, soprattutto tra i giovani la causa Lgbtq ha stravinto. Lo spazio che continua a occupare nei media e nel discorso pubblico americano sta diventando omaggio rituale a un sistema di valori già prevalente”.
Boldrini, Letta e altri hanno chiesto agli azzurri di inginocchiarsi in modo unanime. Ma questa non è un’ingerenza che limita la libertà, esponendo alla gogna mediatica chi non si inginocchia?
“I politici che inseguono la visibilità sui media fraintendono il ruolo delle celebrity. Cristiano Ronaldo avrà mille volte più seguaci su Twitter del sottoscritto, ma questo non ne fa un maestro di valori. Enrico Berlinguer non affidava ai calciatori la costruzione di un consenso tra le masse, e arrivò al 35%”.
La Nazionale ha fatto bene a non inginocchiarsi?
“Evito di aggiungere il mio parere, irrilevante, al fracasso vacuo di questi giorni. Facciano quel che gli pare, un ginocchio in più o in meno non sposterà di un millimetro la questione del razzismo”.
In Italia la sinistra, il Pd di Letta in particolare, ha scelto di cavalcare una serie di battaglie ideologiche. Dallo ius soli al ddl Zan, al voto ai sedicenni. È la mossa giusta o così rischia un boomerang in sede elettorale?
“Ai sedicenni darei prima una buona scuola, una formazione utile, per costruire opportunità di lavoro. Buona parte della sinistra europea segue con un intervallo di ritardo le oscillazioni di quella americana. Per anni i democratici Usa hanno perso contatti con i lavoratori perché inseguivano solo temi valoriali. Joe Biden sta tentando di riportarli sulla retta via, non a caso ha già avuto i primi scontri con la sua ala sinistra radicale, che pensa solo ai campus universitari”.
Anche perché a livello internazionale e negli Stati Uniti, che lei conosce bene, il partito democratico di Biden ha un’impronta molto più pragmatica. Penso al tema immigrazione e al celebre discorso di Kamala Harris in Guatemala…
“Biden ha mandato Kamala in Centramerica a dire: il confine resta chiuso e respingeremo chi cerca di attraversarlo. Vogliamo aiutarvi a restare a casa vostra. Questo non è solo pragmatismo. È ritorno alla tradizione della sinistra. Franklin Roosevelt riuscì a costruire un Welfare avanzato perché tenne le frontiere chiuse, garantendo che le sue riforme sociali avrebbero beneficiato una società abbastanza omogenea e coesa”.
Tra l’altro in sede europea, il governo Draghi, di cui il Pd fa parte, pare aver sposato la linea interventista sulla questione migratoria. Perché allora poi a parole la sinistra italiana insiste con la politica dei porti aperti?
“Anche in America abbiamo la sinistra ‘no-border’, l’esponente più famosa è Alexandria Ocasio-Cortez. Se dovesse prevalere, aspettiamoci una rimonta repubblicana alle legislative del novembre 2022”.
Con Draghi è cambiata la percezione dell’Italia oltreoceano? Avrà un impatto nei rapporti Ue-Usa?
“Draghi gode di una stima superlativa negli Stati Uniti, da qui a cambiare la percezione dell’Italia come sistema, ce ne vuole. Attenti a non creare di nuovo il mito di un’Italia ‘modello ammirato nel mondo’. Accadde un anno fa a quest’epoca, per un paio di articoli della stampa estera sulla nostra risposta alla pandemia. Ha portato solo una gran iella”.
E a lei piace Draghi? Mi sembra vi conosciate dai tempi dall’Università…
“Per un episodio che lui non può ricordare. Mi ero trasferito dalla Bocconi alla Sapienza perché avevo cominciato a lavorare come giornalista a Roma. Andai a un esame di economia politica abbastanza impreparato, improvvisando. Draghi era l’assistente di un grande economista, Federico Caffè: fu quest’ultimo a promuovermi, mentre Draghi mi voleva cacciare, a ragione. Comunque non mi sono mai laureato. Cominciai a frequentarlo professionalmente quando era direttore generale del Tesoro. Certo che mi piace, anche se non ho condiviso tutte le sue scelte. Il salvataggio dell’euro lo ha messo nel Pantheon delle divinità. Salvare l’Italia sarà più difficile”.
Dall’”America First” di Trump al multilateralismo ritrovato di Biden. È cambiata la politica estera dopo Trump o i temi divisivi restano? Penso alla diplomazia tesa con la Russia e all’ostilità aperta con la Cina…
"È cambiata meno di quanto si creda. Da Trump a Biden sulla Cina c’è molta continuità. La differenza fondamentale è che Biden crede al ruolo delle alleanze, vuole valorizzarle per contenere l’espansionismo di Xi Jinping. Sui dazi contro il made in China, sul ripensamento critico verso una globalizzazione che ha danneggiato le classi lavoratrici, Biden è più vicino a Trump che al globalismo di Bill Clinton o del primo Obama”.
A proposito di Cina, ha scritto del caso delle sequenze del Sars-CoV2 sparite dal database. Secondo lei, che in Cina ci ha vissuto e che quindi la conosce bene, cosa c’è dietro? Sapremo mai come è andata?
“Proprio perché la conosco bene, dubito che conosceremo la verità… prima della scomparsa di Xi Jinping”.
Citando il suo nuovo spettacolo teatrale che debutterà il 4 luglio, moriremo tutti cinesi o no?
“Qualcuno ha letto nel titolo un doppio senso riferito alla morte per Covid. In realtà nello spettacolo io provo a immedesimarmi in Xi Jinping. Dico agli italiani quel che l’Imperatore celeste pensa di noi occidentali: che è giunto il momento della nostra decadenza. E dunque moriremo in un mondo dove l’impronta cinese sarà diventata sempre più forte”.
Confronto diretto Italia-Usa. Chi vince su libertà?
“L’America ha una cultura delle libertà individuali unica al mondo, senza eguali nella tradizione europea. Però Roosevelt includeva nei suoi ideali anche la libertà dal bisogno, e su quel fronte l’America è una società più dura con i deboli”.
Gestione della pandemia?
“L’America ha vinto perché crede – anche a sinistra – nel ruolo dell’impresa, e ha dato fiducia all’industria farmaceutica. La performance della scoperta e produzione dei vaccini in tempi record è stata eccezionale”.
Politica estera?
"L’Italia ha rinunciato ad avere una politica estera paragonabile a quella francese o inglese perché diffida dello strumento militare; i paragoni con gli Stati Uniti non hanno senso”.
Gusto estetico?
“L’Italia stravince. Gli americani che hanno gusto ci venerano come i loro maestri”.
Cibo? Qui non ci dovrebbe essere partita. O smentisce il pregiudizio che in America si mangi male?
“Nell’America di oggi si mangia molto meglio di trenta o quarant’anni fa, anche per merito di una nuova generazione di chef italiani (a volte giovanissimi, magari arrivati come camerieri) che hanno svolto un’opera di educazione. Però mangiar bene in America costa caro, in Italia no”.
Cosa non le manca dell’Italia quando sta in America e dell’America quando torna in Italia?
“Dell’Italia non mi manca mai la burocrazia, una delle più stupide e cattive. Dell’America non mi manca l’omogeneità nauseabonda del paesaggio delle insegne, le ‘catene’ che dominano tutto, dagli hotel ai bar”.
Si sente più americano o italiano?
“Italiano perché la cultura delle origini, dei genitori, è la più forte. Grato all’America di avermi voluto come suo cittadino”.
Allora
in che lingua sogna?“Ricordo raramente i sogni, salvo quando avvengono nel dormiveglia per il jetlag delle traversate oceaniche. Direi in italiano e qualche volta in francese, l’altra lingua della mia infanzia”.
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