Dall’etichetta a semaforo, alla demonizzazione di alimenti considerati nocivi per la salute, passando per l’ipotesi del taglio dei fondi per la promozione di alcuni prodotti simbolo della dieta mediterranea: da Bruxelles rischia di arrivare una vera e propria stangata all’agroalimentare italiano. L’unico settore che ha resistito allo tsunami della pandemia, facendo registrare nel 2020 la cifra record di 46,1 miliardi di esportazioni. Dalla Farm to Fork al Nutriscore, la strategia dell’Ue punta però a sostenere scelte alimentari basate sui prodotti vegetali, aprendo ai sostituti di carne e formaggi, come "hamburger" e "bistecche" vegane.
Il Cancer Plan, il piano della Commissione per diminuire l’incidenza dei tumori nella popolazione europea, punta il dito contro carne rossa, salumi e alcolici, compreso il vino, mentre il Nutriscore introduce un sistema di etichettatura semplicistico che penalizza di fatto le eccellenze del nostro territorio. Non a caso, la scorsa settimana, il nuovo ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, ha annunciato che l’Italia si sta organizzando assieme ad altri Paesi europei per fare "fronte comune" contro l'etichetta a semaforo, definita "inaccettabile per il nostro Paese e le nostre produzioni".
Così il Nutriscore penalizza i prodotti italiani
Ma la battaglia sembra essere tutta in salita. Il sistema, su cui puntano le grandi multinazionali, funziona già in Francia, Germania, Belgio, Olanda e Spagna. Proprio questi Paesi, assieme al Lussemburgo e alla Svizzera, hanno dato vita ad un coordinamento pro-Nutriscore, per diffondere il sistema il più possibile, anche tra i produttori più piccoli. Uno scenario che penalizzerebbe non poco i prodotti italiani all’estero.
Se è vero, infatti, che si tratta di un sistema da adottare su base volontaria, è vero anche che in molti di questi Paesi sono ormai in voga vere e proprie campagne per incentivare i consumatori a comprare alimenti contrassegnati dal bollino verde. Per questo, formaggi, salumi, oppure l’olio extravergine d’oliva, sarebbero di fatto considerati prodotti di serie b, visto che i parametri su cui si basa il Nutriscore non sono consoni alle reali proporzioni consumate, ma sono calcolati su 100 grammi di prodotto.
In pratica, in base a questo meccanismo una Coca Cola Zero finisce per essere considerata più salutare di un prodotto ricco di antiossidanti e polifenoli come l’olio o di un formaggio dai protocolli di produzione rigidissimi come il Parmigiano. "È chiaro che così non ci può essere una giusta competizione, visto che, dove è stato già adottato, il Nutriscore ha sicuramente un impatto visivo sul consumatore", ci spiega David Granieri, presidente di Coldiretti Lazio e produttore di olio extravergine di oliva in Sabina.
Insomma, anche se gli imprenditori italiani scegliessero di non etichettare i propri prodotti, che in base a questo algoritmo verrebbero bollati di rosso o arancione, le eccellenze della nostra tavola finirebbero per perdere appeal rispetto alle preparazioni contrassegnate dalla A verde. E non si tratta soltanto della salute dei consumatori, che riceverebbero un’informazione distorta. La posta in gioco a livello economico, per l’Italia, è altissima. Nel 2020, nonostante la pandemia abbia paralizzato le nostre produzioni, l’agroalimentare è stato l’unico settore ad incrementare l’export dell’1,4 per cento.
La battaglia sul Nutriscore in Europa
E così, in attesa che, entro il 2022, l’Ue adotti il nuovo regolamento generale sui sistemi di etichettatura, si accende lo scontro diplomatico per cercare di arrivare ad un compromesso. "La battaglia tra grandi Paesi agricoli e produttori di alimenti sarà grande", avverte Donato Rotundo, responsabile di Area Ambiente e sviluppo sostenibile di Confagricoltura. "Negli ultimi anni – assicura - l’Italia ha svolto un lavoro importante sia a livello di delegazione di governo sia di associazioni per costruire alleanze in questo senso".
A chiedere l’esclusione dei prodotti Dop e Igp, e quelli composti da un solo ingrediente, come l’olio, dall’etichetta a semaforo, sono stati nei mesi scorsi, assieme all'Italia, Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lettonia e Romania. L’alternativa proposta dal nostro Paese è quella del Nutrinform Battery: un sistema di etichettatura a batteria che fornisce ai consumatori "informazioni nutrizionali chiare, semplici, ma allo stesso tempo complete per una corretta composizione della propria alimentazione", indicando la percentuale di calorie, grassi, zuccheri e sale assunte per porzione e la quantità giornaliera raccomandata.
"È più complessa dal punto di vista visivo – spiega Rotundo – ma sicuramente più completa". "Per ora – ammette però l’esperto - c’è una leggera propensione verso il Nutriscore, anche se l’impostazione italiana sta avanzando". "L’auspicio – conclude – è che si possa giungere ad un sistema mediato che possa mitigare questa impostazione semplicistica, ad esempio escludendo dall’etichettatura a semaforo tutti i prodotti mono-ingrediente, come il prosciutto o l’olio d’oliva".
La rabbia dei produttori
I produttori italiani, però, non sono tranquilli. "Quella dell’Ue è una politica scorretta, che ci penalizza, oltre a dare un’informazione fuorviante ai consumatori – attacca Pantaleo Greco, produttore pugliese di olio e presidente della filiera nazionale di prodotto di Confagricoltura – se l’etichetta del Nutriscore prendesse in considerazione anche gli antiossidanti, l’olio sarebbe tra i prodotti raccomandati, altro che rosso o arancione". "È una modalità di etichettatura che condanna la dieta mediterranea in generale – denuncia – a favore di prodotti industriali e sintetici che possono essere facilmente adeguati ai parametri richiesti".
"Per quanto mi riguarda un prodotto con pochissimi ingredienti, tutti di altissima qualità, con un disciplinare di produzione rigidissimo non può che essere un prodotto a semaforo verde e invece l’Ue lo considera nocivo favorendo le grandi aziende che producono prodotti light pieni di edulcoranti o coloranti, quelli sì che sono cancerogeni", protesta Luciana Pedroni, responsabile Donne impresa Coldiretti Emilia-Romagna, che produce parmigiano dal latte delle "vacche rosse" reggiane. "Dobbiamo combattere – esorta – per guadagnare un’etichettatura giusta, altrimenti finirà che il Parmesan sarà equiparato ad un prodotto di altissima qualità come il nostro, e questo non è giusto".
L'ipotesi del taglio ai fondi per la promozione dei prodotti
Il parmigiano prodotto dall’azienda di Luciana è un’eccellenza a livello mondiale, che nasce dalla sinergia tra materia prima, tradizione, storia e territorio. Far conoscere questa storia anche oltre i confini nazionali è vitale per le piccole aziende come questa, che lavora per il 60 per cento con l’estero. Per questo, a preoccupare gli imprenditori, è anche l’ipotesi, circolata a Bruxelles, di ridurre i fondi per la promozione dei prodotti agricoli.
"Non abbiamo bisogno di tagli, ma di sostegni per affrontare questo dopoguerra", le fa eco il vicepresidente nazionale della stessa associazione. "Dobbiamo ripartire nel miglior modo possibile da questa pandemia e il taglio delle risorse va assolutamente combattuto", ribadisce Granieri, che invoca un sistema che a livello comunitario tuteli maggiormente le eccellenze italiane. Senza contare che per molti settori questi fondi sono a dir poco vitali.
"Ormai è palese: siamo davanti ad una crociata anti-italiana"
"Il Made in Italy subisce già un impatto di 100 miliardi dal mercato dei prodotti fake, a cui vanno aggiunti i dazi imposti dagli Stati Uniti su tanti prodotti e i dazi verso la Russia, siamo di fronte ad un attacco costante e continuo", denuncia il senatore di Fratelli d’Italia, Luca De Carlo, che un mese fa ha presentato una mozione a Palazzo Madama proprio contro il Nutriscore. "Ormai è palese che siamo davanti ad una crociata anti-italiana – ci dice al telefono – con un accerchiamento pilotato dalle grandi multinazionali ai danni del nostro agroalimentare che vale oltre 500 miliardi e questo dà molto fastidio".
Giusto fare squadra con altri Paesi in Europa, continua il senatore, ma l’Italia, commenta, "resta in una posizione piuttosto debole". "Del resto, - sottolinea – non c’è da stupirsi, visto che lo scorso dicembre, mentre i grandi Paesi europei si consorziavano per il Nutriscore, il nostro ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, era impegnata a far cadere il governo, e prima ancora a studiare sanatorie per i migranti, trascurando il comparto agroalimentare".
Per cercare di invertire la rotta, secondo De Carlo, oltre a spingere per l’etichetta a batteria, bisogna investire sulla promozione dei nostri prodotti all’estero e soprattutto sull’agricoltura, per renderla indipendente, anche con il contributo del Recovery Fund. "Il nostro sistema agricolo è sinonimo di sostenibilità e anche i nostri allevamenti, nonostante quello che dice il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani", conclude. Il riferimento è alle dichiarazioni del ministro sull’impatto degli allevamenti e sull’opportunità di "diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali".
"Sono impattanti gli
allevamenti negli Usa, in Canada o in Argentina, - ribatte il senatore del partito di Giorgia Meloni – quelli italiani sono un’eccellenza e contribuiscono a mantenere intatta la morfologia e la sostenibilità del nostro territorio".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.