L'attivista anti-Assad: "Occidente odia islamici"

Oggi sul Fatto Quotidiano il siriano Shady Hamadi: “Non dovremmo stupirci quando scopriranno che gli attentatori di Londra avevano precedenti penali; erano finiti in carcere e lì, in detenzione, hanno riscoperto di essere musulmani"

L'attivista anti-Assad: "Occidente odia islamici"

Il bilancio del duplice attentato di ieri al London Bridge e al Borough Market è di sette morti e più di cinquanta feriti. I terroristi islamici, al grido “questo in nome di Allah” hanno prima investito con un furgone e poi massacrato a coltellate tutti coloro che capitavano a tiro prima di essere neutralizzati dagli agenti di polizia.

Perquisizioni ed arresti sono in corso nella zona orientale di Londra, ma l’identità degli attentatori non è ancora stata resa nota e probabilmente servirà ancora tempo perché le operazioni anti-terrorismo sono ancora in corso.

Fondamentale è capire la rete o “le reti”, dato che è plausibile pensare a diverse correnti jihadiste che cooperano tra loro per colpire il nemico comune, l’Occidente.

Immediatamente dopo un attentato è sempre bene andare con i piedi di piombo e attendere conferme autorevoli visto che il flusso di dati e notizie è tale da non permettere di fornire immediatamente un quadro chiaro ed esaustivo. In aggiunta è bene mantenere la riservatezza per permettere alle autorità competenti di proseguire con le necessarie operazioni di neutralizzazione di eventuali cellule.

Nonostante ciò c’è sempre chi ha fretta di dire la sua, a volte per reazione di pancia, in altri casi per strumentalizzazioni politiche di cattivo gusto o semplicemente per attirare l’attenzione.

Oggi sul Fatto Quotidiano il siriano Shady Hamadi, già noto per numerosi post anti-Assad, (ma anche contro l’intervento militare russo in Siria e in un altro del 2015 dove paragonava i massacri dell’Isis di Palmyra a quelli del governo Assad: “l’Isis fa pubblico quello che il regime ha sempre tentato di fare di nascosto), scrive sul proprio blog:

“Non dovremmo stupirci quando scopriranno che gli attentatori di Londra avevano precedenti penali; erano finiti in carcere e lì, in detenzione, hanno riscoperto di essere musulmani. Una volta usciti, il fallimento delle loro vite l’hanno imputato al sistema. Poi all’Occidente che – hanno pensato- non ha voluto accertarli perché figli di musulmani; l’occidente odia l’Islam, odia loro”.

Hamadi prosegue poi affermando che i terroristi “hanno riempito il vuoto della propria identità indossando i vestiti della loro appartenenza: quella religiosa, messa sotto attacco dallo sguardo dell’altro”.

In poche parole, è colpa dell’Occidente che li ha messi sotto attacco?

In seguito afferma addirittura che tutti i terroristi (da Charlie Hebdo a Manchester) hanno seguito lo stesso percorso psicologico e umano. Non poteva poi mancare il capro espiatorio musulmano, il sindaco di Londra, Sadiq Khan a cui, secondo Hamadi, tutto è imputato.

Cosa intendesse esprimere il sig. Hamadi nel suo post non è ben chiaro, ma è lecito puntualizzare alcuni aspetti.

In primis è veramente prematuro trarre conclusioni sui profili degli attentatori visto che le operazioni anti-terrorismo sono ancora in corso. Al momento attuale non è stato reso noto se si tratta di soggetti pregiudicati né tanto meno se si sono radicalizzati in carcere. Non è dato sapere nemmeno se si tratta di convertiti, di seconde/terze generazioni o altro. Per la profilazione psicologico-sociale serviranno le necessarie tempistiche.

Non vi è alcuna conferma analitica, di alcun tipo, che uniforma i profili psicologici degli attentatori dal fatto di Charlie Hebdo in poi e per rendersene conto basta analizzare i singoli profili in questione.

Quella di Hamadi potrebbe sembrare ad alcuni una “reazione di pancia”, ad altri una strumentalizzazione politica, magari legata al discorso “ius soli”.

Certo è che un’esternazione del genere è di pessimo gusto. In questo momento l’ultima cosa di cui si ha bisogno è di “dilettanti allo sbaraglio” che cercano di interpretare i meccanismi psicologici degli attentatori per poi spalmarli su un quotidiano.

C’è poi quel “L’occidente odia l’Islam, odia loro” che rischia di prestarsi ad ulteriori interpretazioni terribilmente controproducenti.

Ipotizziamo uno scenario, un potenziale soggetto sensibile alla propaganda jihadista legge il post di Hamadi, lo mal interpreta e trae le sue conclusioni.

Insomma, un post che si poteva benissimo evitare perché inutile sotto tutti i piani, persino per chi promuove lo ius-soli. Sangue freddo e a ciascuno il proprio lavoro.

Un aspetto interessante dell’autore del pezzo è poi legato alle sue posizioni, ora chiaramente anti-Assad, come mostrano i suoi numerosi post su Facebook.

Posizioni che non sono però sempre state le medesime, come mostra un suo articolo del 15 aprile 2011 sulle seconde generazioni (pag.8), dal titolo: “Io esiliato dal regime dico lunga vita a Bashar”.

Hamadi

Teniamo ben presente che le manifestazioni consistenti di strada con i massacri di civili nelle strade iniziano un mese prima della pubblicazione del pezzo, il 15 marzo 2011.

Nel pezzo Hamadi scriveva: “Eppure, nonostante tutta la sofferenza che abbiamo provato, affermo con convinzione che il presidente siriano Bashar Al Assad dovrebbe rimanere al potere”.

L’autore argomentava l’affermazione dicendo di aver trovato un Paese più industrializzato e con una forte apertura ai mercati, quando era tornato in patria nel 2009. In aggiunta Assad era anche una garanzia di stabilità per le diverse confessioni presenti in Siria.

E ancora: “Questo Bashar non è l’emulazione del padre, bensì un giovane quarantenne che ha sulle spalle la pressione della

vecchia guardia e della setta minoritaria Alawita a cui appartiene”.

Ovviamente ciascuno è libero di pensarla a suo modo e di cambiare idea tutte le volte che vuole, ma una linea chiara e ponderata è sempre la miglior cosa.

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