Purtroppo si sta trasformando in una costante che tradisce la filosofia dell'attuale inquilina del Viminale, sintetizzata in una battuta ricorrente: «Per evitare guai maggiori». Quest'estate il rave party che mise a soqquadro le campagne del viterbese, quel raduno illegale affollato di «punkabbestia» in cui ci scappò pure il morto, non fu interrotto dalle forze dell'ordine, appunto, «per evitare guai maggiori»; sempre «per evitare guai maggiori» non è stato impedito sabato scorso ad un gruppo di delinquenti che si rifanno al folklore del ventennio di irrompere nella sede della Cgil, benché il proposito fosse stato annunciato dal palco della manifestazione No pass di Roma.
Si potrebbero fare altri esempi dello stesso segno, ma bastano questi per dimostrare che nell'operato del ministro Lamorgese, con tutto il rispetto, c'è un eccesso di politicismo che magari nasconde un'inattitudine ad operare nelle situazioni di emergenza e che finisce per tradire una sensazione pericolosa di paura nella gestione degli imprevisti. Questo atteggiamento che qualcuno erroneamente definirà «democratico» e «dialogante», in fin dei conti è la via più semplice per non decidere, per non scegliere, in definitiva, per non assumersi nessuna responsabilità. Solo che succede oggi, succede domani, nell'immaginario collettivo il vietato, l'illegale diventa possibile e si finisce per minare l'autorità dello Stato. Soprattutto, capita l'irreparabile, viene violata la sacra sede del sindacato, si usano paroloni e retorica a buon mercato, si processa la Meloni perché secondo la sinistra non taglia i legami con il fascismo, ma l'ovvio non si fa: nessuno paga. Resta al suo posto il capo della Digos che, secondo le voci di corridoio, si era fidato della promessa dei caporioni di Forza Nuova di risparmiare la sede della Cgil; come pure quei responsabili dei servizi segreti che non sono riusciti a carpire un segreto alla luce del sole.
Ora qui nessuno chiede la testa di qualcuno, si vuole, però, richiamare l'attenzione sul periodo delicato che stiamo attraversando, sul rischio che rendendo sbiadita l'autorità dello Stato germi di anarchia possano diffondersi nel Paese. La giornata di oggi rischia di diventare il palcoscenico di questi meccanismi irrazionali che percorrono la nostra società: una questione squisitamente sanitaria (il vaccino e la sua certificazione, cioè il green pass) è diventata oggetto di una vertenza sindacale nei porti, sulle autostrade, negli uffici pubblici. Per il perverso masochismo di alcune minoranze (portuali, camionisti, dipendenti pubblici) si rischia, addirittura, di bloccare il nostro sistema produttivo mentre l'economia tira e il Paese ha i numeri per risorgere: da una parte si chiede lavoro; dall'altra si blocca il lavoro per rifiutare lo strumento (il vaccino) che ha permesso di riprendere a lavorare. Siamo all'impazzimento generale. Il problema non è la democrazia, ma la dittatura delle minoranze.
Se in questo contesto si appannasse pure l'autorità dello Stato il rischio potrebbe rivelarsi letale.Un rischio di cui un Draghi che non molla sul green pass è consapevole, mentre la Lamorgese di sabato scorso, dispiace dirlo, no.
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