Alla fine qualche peluche di protesta per ricordare la disgrazia di Cutro, una maglietta in stile Ferragnez - «Meloni pensati sgradita» - e qualche fischio, ma davvero pochi: a sinistra le contestazioni, quelle vere, sono ben più assordanti. Anzi, ieri c'è stato addirittura uno sparuto applauso finale. Per cui al primo premier di destra che ha avuto il coraggio di salire sulla tribuna del congresso della Cgil è andata più che bene. Non poteva essere altrimenti, perché il segretario di quel sindacato rosso che è tornato ad essere la spina dorsale del nuovo corso del Pd e il collante dell'alleanza futura con i 5stelle, cioè Maurizio Landini, aveva lo stesso obiettivo e gli stessi interessi della Meloni: la legittimazione del bipolarismo delle cosiddette «estreme». Dopo aver ospitato ieri in casa l'avversario più lontano, nessuna delle due parti potrà utilizzare le scomuniche ideologiche, rinfacciarsi i retaggi del passato. I tempi cambiano e realismo e pragmatismo, alla lunga, prevalgono. Del resto a Parigi anche Mélenchon e la Le Pen si annusano nel tentativo di affossare il governo di Macron sulla riforma delle pensioni.
Quindi l'evento di ieri ha avuto più una valenza politica che sindacale. Del resto la Cgil si sta trasformando sempre più in un soggetto politico: è Landini che ha tenuto i rapporti con i 5 Stelle quando Conte li aveva interrotti con il Pd; è Landini che ha dato la spinta decisiva ad Elly Schlein per battere Bonaccini nelle primarie del Pd; è Landini uno dei registi, se non il regista, di quell'agglomerato di sinistra che dovrebbe contrapporsi alla destra e che, per la prima volta, si è materializzato sul palco del congresso Cgil due giorni fa. Solo che se vuoi un bipolarismo dai colori forti, se vuoi capeggiare le rispettive coalizioni di lato e non dal centro, allora c'è bisogno di una legittimazione reciproca.
Questo è stato il dato essenziale della visita della Meloni in casa Cgil. Il resto è contorno. Quel desiderio di confronto citato e ricitato da Landini, infatti, al di là delle molte parole spese, finirà sempre con un «no». Il primo a saperlo è l'interessato, che ha bocciato la riforma del fisco targata Meloni senza neppure studiarla. È ovvio: se vuoi mantenere la tua identità, se vuoi che il colore forte non si scolorisca troppo, è altamente improbabile che il governo di destra-centro possa raggiungere un accordo con il sindacato di sinistra. E viceversa. Il «pregiudizio» sui contenuti serve a mantenere le barriere, a preservare, appunto, l'identità. Nel bipolarismo delle «estreme», nella ratio di Landini, il «pregiudizio» sui contenuti è compagno della legittimazione: ti riconosco - è la promessa -, ma non sarò mai d'accordo con te. E la ragione è semplice: se a sinistra vuoi tenere insieme uno schieramento così composito, devi tracciare un solco nei confronti dell'avversario. Non gli darai più del fascista (anche se a qualcuno l'espressione spesso scappa), lo inviterai pure al tuo congresso, ma poi, per usare il lessico della Schlein, devi giudicarlo «incapace, approssimato, insensibile».
Appunto, il «pregiudizio» è l'altra faccia della moneta della «legittimazione». Si tratta comunque di un passo avanti.
E se pensiamo ai ragionamenti che fanno ancora alcuni nomi dell'intellighenzia di sinistra, non è poco. Poi è fatale che il bipolarismo delle estreme non contempli punti di incontro. Neppure quando le tematiche di governo investono gli interessi nazionali, si parli di immigrazione o di economia.
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