L'epilogo era già scritto. Non poteva essere altrimenti. Né Giorgia Meloni, né Silvio Berlusconi potevano sottrarsi al dovere - perché di questo si tratta - di dare un governo agli italiani dopo aver vinto le elezioni. Era nelle cose e così è stato. Una pace ineluttabile perché una rottura sarebbe stata inspiegabile e perché sottrarsi alla sfida di tentare di dare una risposta alle mille emergenze in cui si dibatte il Paese (crisi energetica, bollette, recessione e tutte le conseguenze della guerra in Ucraina) avrebbe privato di significato la stessa idea di un'alleanza di centrodestra.
Il punto ora per la coalizione e per la Meloni è partire davvero con il piede giusto. Mettendo da parte le narrazioni basate sui personalismi, la logica dei veti, le guerre intestine. In politica non si serba rancore, il passato è sepolto se si vuole avere un futuro. Sulle priorità da affrontare e anche sulle terapie da adottare ieri la premier «in pectore» e il Cav hanno verificato che, al di là dei toni, non ci sono distanze incolmabili. Tutt'altro. Probabilmente c'è una maggiore assonanza che con la Lega, visto che l'attenzione di un ex premier di lungo corso come Silvio Berlusconi sul tema del debito pubblico la ritrovi nell'avversione che la Meloni sta mostrando su ogni ipotesi di «scostamento» di bilancio.
Resta solo una questione che in fondo riguarda «in primis» la probabile premier, cioè quella di dare una rappresentanza adeguata a tutte le anime della maggioranza. Se si vuole che quella complicata macchina che è una coalizione funzioni, che tutte le ruote marcino nella stessa direzione, è necessario che ci sia un equilibrio. Non lo chiede Berlusconi, ma è un elemento indispensabile per assicurare compattezza all'alleanza. È il nodo politico che ieri il Cav ha posto alla Meloni. E non è una questione infondata: a vedere la distanza che c'è tra la rappresentanza che ha avuto la Lega con il suo 8,9% in Parlamento e nel governo e quella che ha avuto Forza Italia con l'8,3%, ebbene, il problema oggettivamente c'è. Sta alla Meloni la sensibilità di coglierlo e decidere se risolverlo o meno. Altrimenti il governo si farà lo stesso, è ovvio. Ma marginalizzare un partito che, nei numeri come nella funzione per le relazioni sul piano internazionale di cui dispone, può svolgere un ruolo importante e in alcuni frangenti addirittura determinante, non è una grande trovata. La scelta di nominare sia Salvini, sia Tajani vicepremier è un passo avanti per rafforzare il collante che tiene insieme la maggioranza.
Ora bisognerà vedere se ci sarà un ulteriore sforzo per sgombrare il campo oltrechè dalle polemiche e dalle incomprensioni, anche dall'amarezza di un partito che si è sentito sottovalutato. Magari il ministero della Giustizia, per quelle riforme che sono sempre state un cavallo di battaglia di Forza Italia.
Qualunque cosa deciderà la premier, nel giro di una settimana avremo il nuovo governo: non perché sia scritto nelle stelle, ma per un impegno che i tre leader del centrodestra hanno preso, prima che tra loro, con gli elettori.
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