Ieri ci sono stati tre attentati di matrice anarchica per chiedere allo Stato italiano di togliere Alfredo Cospito dal regime di 41 bis: bruciata l'auto di un diplomatico italiano a Berlino, scritte sul nostro consolato di Barcellona e, ancora, bruciato un ripetitore sulla collina di Torino. Non solo: a Roma, durante uno scontro con la polizia, gli estremisti hanno ferito un agente. Un mese e mezzo fa era stata incendiata l'auto di Susanna Schlein, primo consigliere all'ambasciata italiana di Atene e sorella della candidata alla segreteria del Pd Elly. Ne patirà le conseguenze anche lo stesso Cospito, ormai stremato da uno sciopero della fame che va avanti da settimane: atti del genere infatti rischiano di avvalorare le tesi degli inquirenti che lo vedono come punto di riferimento di una rete terroristica di matrice anarchica. Probabilmente ne è del tutto estraneo ma rischia di pagarne sia pure indirettamente il conto. È quello che avviene purtroppo quando un nome diventa un simbolo per altri.
Appunto, simboli. E qui arriviamo al punto più preoccupante che richiama le ragioni per cui gesti del genere non vanno per nulla trascurati. La prima riguarda la situazione economica: inflazione, rischio di recessione, aumento della povertà offrono un «humus» adatto per trasformare il disagio sociale in rabbia e, quindi, in un habitat ideale per gesti di ribellione che possono trasformarsi in atti di terrorismo. È un meccanismo che si è messo in moto spesso negli ultimi cinquanta anni.
Inoltre c'è l'avvento di un governo di destra-centro contro cui specie in campagna elettorale, ma non solo, sono stati seminati strali di odio. Certo parlare di «odio di classe» nel 2023 stona. Ma se per questo pure di anarchia. Si evocano fantasmi del passato, ma se bisogna avviare delle riforme per modernizzare il nostro Paese ci sarà chi - per convinzione o per interesse - difenderà lo «status quo». L'ultimo omicidio delle Brigate Rosse, quello di Marco Biagi, quando riapparvero con la sigla nuove Br, risale al 2002, cioè sedici mesi dopo la nascita del secondo governo Berlusconi.
Infine c'è un altro rischio su cui riflettere. La situazione internazionale è una polveriera. C'è una guerra nel cuore dell'Europa che ci vede coinvolti sia pure indirettamente. È di nuovo in auge un linguaggio di settanta anni fa. In guerra, si sa, tutto è permesso e c'è chi potrebbe avere interesse a destabilizzare il nostro Paese, magari soffiando sul fuoco del malessere sociale, strumentalizzandolo e favorendone un'interpretazione violenta: è una storia vista e rivista ai tempi dei muri e della «cortine di ferro». Muri, per chi non se ne fosse accorto, eretti di nuovo e cortine che sono tornate a dividere.
Ora è probabile che queste siano solo congetture, preoccupazioni esagerate. Almeno lo si spera.
Ma viviamo tempi difficili, complessi, per alcuni versi imprevedibili: chi avrebbe potuto immaginare neppure un anno e mezzo fa che ad una pandemia sarebbe seguita una guerra? Ecco perché l'errore peggiore che si potrebbe commettere di fronte a certi fenomeni è sottovalutarli. Potrebbe rivelarsi fatale.
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