L'eterno "Gesù o Barabba"

La sentenza d'appello che spazza via il teorema della trattativa Stato-mafia è il segnale che la fase giustizialista è alle spalle.

L'eterno "Gesù o Barabba"

La sentenza d'appello che spazza via il teorema della trattativa Stato-mafia è il segnale che la fase giustizialista, quella dell'uso delle inchieste per condizionare la politica e riscrivere la storia del Paese, è alle spalle. Ma una sentenza del genere sarebbe stata possibile venti, trenta anni fa, evitando di macchiare l'immagine delle istituzioni per sei lunghi lustri? La risposta è no. Ciò dimostra che purtroppo il «garantismo» da noi non è affidato alle leggi o all'imparzialità dei magistrati, ma all'atmosfera che si respira. Per cui anche di fronte all'esito positivo di questa vicenda, non si può non aprire una riflessione sul tema, perché se una sentenza è determinata dall'umore dell'opinione pubblica, nel bene e nel male, significa che le regole attuali non proteggono l'esercizio della giustizia dalla piazza, dal rischio di trasformare ogni giudizio in un referendum tra Gesù e Barabba. In breve: questa volta le intimidazioni del direttore del Fatto verso i giudici di Palermo perché non tenessero conto delle valutazioni che portarono due anni fa all'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino, quelle che demolirono l'ipotesi della «trattativa», non hanno funzionato, ma un domani?

È qui il punto: può l'amministrazione della giustizia essere esposta alle interferenze del circuito mediatico-giudiziario o essere condizionata dalla ggente, dal popolo dei social, da quello viola, dal grillismo, cioè da tutte le sottospecie del giustizialismo nostrano? Così se da una parte la sentenza dell'altro ieri lascia ben sperare, dall'altra dimostra che nel campo della giustizia c'è ancora molto da fare visto che, per dirne una, dall'inizio del romanzo sulla trattativa si sapeva che Marcello Dell'Utri e, dietro lui, Silvio Berlusconi, erano stati tirati in ballo in una vicenda che non poteva che vederli estranei, non fosse altro perché nei giorni degli attentati e della supposta «trattativa» il Cavaliere non aveva nessun potere nella macchina statale, non era neppure entrato in politica. E la mafia non «tratta» con chi non ha potere. Per cui era ovvio che infilare nel calderone dell'inchiesta il nome di Dell'Utri aveva uno scopo squisitamente politico: gettare la peggiore delle ombre su Berlusconi per minarne le ambizioni, e magari, come ha fatto qualche ex pm, dimostrare che Cosa Nostra aveva avuto, in un modo o nell'altro, un ruolo nell'origine di Forza Italia. Roba da matti.

Ecco perché la riforma della Giustizia della Cartabia non basta. Ecco perché i referendum sono opportuni.

Ecco perché è necessaria una riflessione sul perché i padri Costituenti, al solito lungimiranti, immaginarono meccanismi come il combinato disposto «immunità parlamentare» e «autonomia della magistratura» per garantire l'equilibrio tra i Poteri ed evitare che uno prevaricasse l'altro. Ma c'è bisogno, innanzitutto, che la classe politica torni ad essere consapevole dei propri doveri, del proprio ruolo e acquisti coraggio.

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