I cortocircuiti tra politica e spettacolo generano sempre casi interessanti da cui trarre utili riflessioni. Oltre a dimostrare quanto i due campi finiscano col sovrapporsi, tra ministri che rasentano il comico e rapper assurti a maître à penser. Resta il fatto che quanto successo nel weekend impone alla discussione pubblica un tema cruciale, forse più della pandemia, del lavoro, della crisi economica. Ed è quello della libertà di parola, nodo che tutto lega, a cominciare dall'idea di democrazia.
Il duo comico Pio e Amedeo con il loro show di venerdì sera su Canale 5, che ha ridato un suono, giocando sul registro della provocazione, a parole ormai mute, e l'intervento di Fedez sul palco del concerto del 1° maggio in diretta su Rai3 - al netto delle simpatie e delle antipatie - hanno un merito: aver portato sul piano della discussione «pop» un tema spesso ritenuto «intellettuale». E cioè: ci sono parole che non possiamo usare? Quali sono i limiti alla libertà di espressione? Chiunque può dire tutto, sempre, ovunque? Pio e Amedeo possono in nome del diritto di satira - dire negro, frocio o ebreo, o invece devono scusarsi, come chiedono (ma non è una forma di censura?) le comunità di colore, gay e ebraiche? Fedez quando utilizza una scena pubblica per criticare un partito politico e sposare una proposta di legge, esercita un sacrosanto diritto di parola o fa propaganda politica? E soprattutto: esaltare in nome del progresso e della libertà un Ddl che secondo molti osservatori rischia di limitare la libertà di parola, non è una contraddizione? In base a quale principio democratico chi esprime un'idea (e una visione della società) diversa da quella del deputato Pd e attivista LGBT Alessandro Zan è automaticamente omofobo, mentre chi mette alla gogna da un palco gli oppositori di quello stesso progetto è un campione della libertà?
È vero: non facciamo l'errore di distinguere tra artisti di serie A (di sinistra?), che possono dire ciò che vogliono quando vogliono, e di serie B (di destra?), zittiti come razzisti e omotransfobici.
Ma soprattutto non scivoliamo nell'orrore di imporre forti del numero di follower e di un'egemonia cultural-mediatica una libertà a morali alterne. Fedez, a 30 anni, si è già dovuto rimangiare versi («omofobi!») scritti quando ne aveva 18. Immaginiamoci, se non stiamo attenti a garantire tutte le libertà, i mea culpa che dovrà fare a 60.
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