Gli amanti del mantra grillino per cui "uno vale uno" sono avvertiti: la lettura della teoria ripresa in questo articolo potrebbe provocare svenimenti ed orticaria. Eppure era proprio questo, probabilmente, l'intento dell'economista Dambisa Moyo nel proporre l'attribuzione del diritto di voto sulla base del grado di istruzione: provocare. Provocare una reazione, una riflessione: comunque sia, provocare.
Intervistata da Vanity Fair, la Moyo pone una domanda decisamente "scomoda": "Perché il mio voto vale quanto quello di una persona che non si informa?". Un attacco diretto al suffragio universale, né più né meno.
Un attacco basato sull'assunto che per contribuire a definire la fisionomia delle istituzioni elettive occorra conoscerne il funzionamento.
Il nome del nuovo sistema sarebbe quello di "voto ponderato": "L'idea è che gli elettori vengano chiamati a mostrare il loro impegno per la politica e le elezioni. Se dimostrano di essere informati, allora il loro voto vale appieno. Se invece dimostrano di non esserlo, allora varrà leggermente meno."
Il grado di informazione verrebbe misurato attraverso un test ricalcato sul modello di quello già in vigore per attribuire la cittadinanza agli stranieri. Nulla a che vedere con i titoli di studio conseguiti o con il censo della famiglia di provenienza: tutti, infatti, dovrebbero sottostare a questo esame propedeutico al voto.
Premessa irrunciabile di tutto questo ragionamento è la fiducia nel
desiderio della cittadinanza di partecipare al processo elettivo. La Moyo presuppone infatti che, volendo esprimersi, i cittadini più ignoranti saranno spronati ad informarsi. Un assunto che, però, resta tutto da verificare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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