La sinistra antimafia a Santoro. "Il tuo libro? Solo depistaggio"

Da "Michele chi?" a "Michele perché?". La sinistra antimafia non si dà pace per il libro-intervista di Michele Santoro Nient'altro che la verità al pentito di mafia Maurizio Avola sulla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

La sinistra antimafia a Santoro. "Il tuo libro? Solo depistaggio"

Da «Michele chi?» a «Michele perché?». La sinistra antimafia non si dà pace per il libro-intervista di Michele Santoro Nient'altro che la verità al pentito di mafia Maurizio Avola sulla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per Enrico Deaglio «è un depistaggio (che è un reato)», stesse parole dette al Fatto dall'ex pm Antonino Ingroia, per Claudio Fava il libro è «uno sputo in faccia a ogni verità». Fu solo la mafia o c'entrano anche le solite schegge dei servizi segreti? Sono passati 29 anni dalle stragi eppure «l'ardua sentenza» sulle due stragi non convince. Per esempio, ancora non sappiamo tutto sugli esplosivi utilizzati. A Santoro Avola giura che fu lui, insieme ad altri due, a imbottire di esplosivo la 126 che esplose in via D'Amelio. Dopo aver atteso in un palazzo messo a disposizione da Giuseppe Graviano, avrebbe fatto su e giù da Palermo, finché, saputo dalle vedette che Borsellino sarebbe andato dalla madre, si sarebbe appostato dentro un furgone, da cui sarebbe poi sceso vestito da poliziotto e dato il segnale a Graviano per azionare il telecomando: «Guardo per l'ultima volta il giudice fermo davanti al citofono. Ha gli occhi rivolti al cielo, con la sigaretta accesa tra le labbra. È un'immagine che mi rimarrà attaccata alla pelle tutta la vita». Peccato che sia un bel pezzo che Avola ha raccontato questa storia al procuratore di Caltanissetta Gaetano Paci, il quale ha accertato come il giorno prima Avola fosse a Catania con un braccio ingessato. Difficile, e probabilmente piuttosto pericoloso, riempire un'auto di esplosivo con un braccio solo. Figuriamoci indossare una divisa. Ma Santoro è sicuro: «Avola sta demolendo molte ricostruzioni dietrologiche. I servizi segreti che intercettano la madre del magistrato, il centro d'ascolto sul monte Pellegrino... Non c'è stato niente del genere. Via D'Amelio è il momento culminante di un'azione militare a tappeto e di una caccia all'uomo». Peccato, di nuovo, che la targa da mettere sulla 126 fu rubata il 18 luglio e il 19 Borsellino passò da lì solo perché alla madre era saltata una visita il giorno prima. I mafiosi dovevano essere certi che Borsellino arrivasse, altro che su e giù tra Catania e Palermo. Fu solo Cosa Nostra?

Il 19 luglio un cellulare clonato aveva fatto chiamate che andavano dalle zone di Villagrazia di Carini a via D'Amelio: lo stesso percorso di Borsellino quel giorno. Tutti i pentiti raccontarono di aver usato cellulari clonati solo dopo le stragi: l'allora commissario capo Gioacchino Genchi scoprì che non era vero. Ce n'era uno anche a Capaci, anche se nessuno seppe dire a chi apparteneva e la Dia escluse fosse stato clonato. Eppure non poteva funzionare: era stato rubato il 15 aprile e cessato il 21 dello stesso mese. Ma funzionava benissimo. I telefoni di Nino Gioè e Gioacchino La Barbera, registi della strage di Capaci, clonavano due numeri facenti «parte di un arco di numerazione prevista e non ancora assegnata» dalla Sip a Roma in una filiale dove poi fu accertato ci fosse una base coperta dei servizi.

Ma certo, bisogna credere solo ai pentiti. Ad esempio tutti quelli del commando di Capaci hanno detto di aver scoperto che Falcone scendeva a Palermo di sabato per averne pedinato i movimenti negli ultimi quindici giorni prima di sabato 23 maggio 1992. Peccato che Falcone, stando alla sua agenda elettronica Sharp, negli ultimi due mesi non fosse mai sceso a Palermo di sabato. La seconda delle sue agende elettroniche, una Casio, fu ritrovata cancellata in maniera non accidentale solo dopo il suo sequestro. Improbabile che sia stata Cosa Nostra o qualche politico corrotto, no? All'interno c'era appuntato un viaggio in America. Secondo autorevoli testimoni istituzionali, anche statunitensi, Falcone ci era andato per incontrare Tommaso Buscetta dopo il delitto di Salvo Lima. I magistrati di Caltanissetta non vollero approfondire nemmeno analizzando le sue carte di credito, per non violarne la privacy. E il ministero della Giustizia si limitò a smentirne il viaggio, senza dire dove fosse Falcone in quei giorni, dato che i suoi telefoni non funzionavano, come se si trovasse all'estero. Di certo, contrariamente a quanto raccontò Buscetta, Falcone voleva sentirlo già da mesi, perché il 15 ottobre 1991, davanti al Csm dove doveva difendersi dalle accuse di Leoluca Orlando, disse: «Mi risulta che uno di questi (pentiti, ndr), forse il piu importante, dopo due, tre anni che aveva deciso di chiudere il rubinetto delle dichiarazioni, adesso intende riprenderlo. Credo di aver capito il motivo. Intendiamo accertarlo». «Il più importante», così Falcone l'aveva definito in Cose di Cosa Nostra. Forse si era segnato di più sul suo pc a Roma. Ma al posto di quel file sulla sua difesa al Csm, ce n'era un altro, orlando.bak, modificato dopo la sua morte, con l'ufficio già sotto sequestro. A noi qualcosa non torna...

E poi c'è l'omicidio del giudice Antonino Scopelliti del 9 agosto 1991. Sulla sua morte in Calabria si saldano gli interessi di mafia e 'ndrangheta. La prima vuole eliminare il giudice che in Cassazione erediterà il maxiprocesso, grazie alla «rotazione» su cui spingeva Falcone «per evitare Corrado Carnevale, detto l'ammazzasentenze». La 'ndrangheta così chiude la guerra tra le cosche Imerti-Condello e De Stefano-Tegano-Libri costata 700 morti. Il commando di cui Avola «con Matteo Messina Denaro e i catanesi» è tutto siciliano, si parla di un fucile da caccia abbastanza piccolo e particolare che apparterrebbe a Nitto Santapaola e che un altro Santapaola, Enzo, deve lasciare nell'auto «come firma dell'omicidio». Qualcosa va storto, quel fucile non verrà mai trovato. L'11 luglio 2012 a Reggio Calabria il pentito Antonino Fiume dice al processo Meta che i killer sono due reggini. Il pm Giuseppe Lombardo, che ha riaperto le indagini sull'omicidio - finora senza responsabili perché le versioni di 17 pentiti furono giudicate «discordanti» - non gli ha fatto fare i nomi.

Ha ragione Avola o Fiume, pentito decisivo in diversi procedimenti? Troppi pezzi di puzzle diversi non si incastrano, come nella migliore tradizione mafio-'ndranghetista. Tutt'altro che la verità. Non una nuova luce ma solo inchiostro. Nero d'Avola.

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