L'Isis festeggia due volte

Erdogan si riprende il potere grazie agli islamisti. E il Califfo rivendica la strage del camion

L'Isis festeggia due volte

Erdogan per ora ha battuto il colpo di stato militare, una rivoluzione alla rovescia in cui il popolo ha salvato il suo autocrate islamista. Non a caso il 50 per cento dei turchi gli ha conferito per 15 anni la vittoria: è l'anima nazionalista-religiosa che ha sempre combattuto la modernizzazione laica di Kemal Ataturk.

Erdogan continua a trasmettere l'idea che le cose ancora non sono risolte e chiede alla gente di seguitare a uscire, mentre nel cielo di piazza Taksim ruggiscono ancora alcuni F16. Ma ormai non pare ci siano dubbi sul fatto che oggi sia lui a cantare vittoria. Lui, il sultano che ha trasformato la Turchia in una zona in cui si chiudono i giornali, si sbraitano slogan antisemiti, si mette la gente in galera per dissenso, ci sono duemila persone accusate del crimine di averlo «insultato», i curdi sono diventati il nemico numero uno, l'economia è sull'orlo del fallimento, l'immunità dei parlamentari è stata cancellata, Hamas è foraggiato, la disonestà personale sua e della sua famiglia viene questionata da giudici coraggiosi e poi finiti male, l'islamismo rampante ha le bandiere spiegate sotto l'ala della Fratellanza musulmana. Tutto questo si consoliderà: il popolo lo vuole.

Molti soldati, si dice, sono stati linciati dalla gente chiamata da Erdogan in piazza, migliaia di arresti sono già stati compiuti dalla polizia e le forze speciali del presidente, i tremila giudici con tutto il corpo giudiziario sono stati licenziati, volano nell'etere bombastiche affermazioni che la Turchia è tornata alla democrazia per l'eroismo del suo popolo contro i terroristi e i gulenisti. Per la Turchia si sta compiendo, potenziato, il medesimo destino di questi 15 anni, che sarà peggiorato da un stretta che impedisca nel futuro la sorpresa che il sultano ha dovuto affrontare.

L'esercito custode della legalità laica stavolta non ce l'ha fatta. La Turchia è di nuovo a caccia di prede nel mare magno dell'islamismo interno e internazionale, alla ricerca del passato imperiale ottomano fra le sabbie mobili dell'estremismo. Erdogan, se la sua vittoria si consoliderà, stringerà prima di tutto i suoi tentacoli religiosi sulla società: è questo che gli ha consentito di chiamare la gente a uscire di casa. Le moschee verranno potenziate, in omaggio al fatto che hanno cominciato subito a invitare dai minareti alla sua difesa. Nei quartieri verranno potenziati i presidi dei fedeli a sorveglianza continua. La scuola diventerà sempre più ossessivamente legata ai testi religiosi, decretando il declino dei curricula degli studenti: il lavaggio del cervello che è riuscito a operare fra i giovani e gli intellettuali, e che tuttavia non ha impedito la generosa rivolta del 2013, si intensificherà con la chiusura di altri giornali, punirà scrittori e studiosi che già hanno conosciuto in questi anni a migliaia i rigori degli interrogatori e del carcere.

Erdogan aveva cacciato via solo il 24 maggio il primo ministro (Ahmet Davutoglu, che aveva portato il suo partito - l'Akp - alla vittoria sei mesi fa), non perché avesse agito contro di lui, ma perché non si era mostrato abbastanza ossequioso verso il suo disegno di fargli votare i pieni poteri dal Parlamento. L'apparato della giustizia e l'esercito sono neutralizzati, la strada verso la dittatura è aperta: adesso il sostituto di Davutoglu, Binali Yildirim, suo mani e piedi, potrà farlo rapidamente.

Tutto il mondo occidentale adesso, in base ai principi democratici ridotti a paravento della paura come ai tempi delle primavere arabe, si congratula per la ristabilita legalità: anche la Russia, con cui era in corso un processo di riavvicinamento molto fragile, e Israele che aveva appena ristabilito rapporti, dichiarano la loro preferenza per la stabilità. Ma chissà se essa verrà: si vedranno moltissime condanne a morte, cambieranno le leggi in senso autoritario, saranno imprigionati tutti quelli che non sono d'accordo, si assisterà ancora ad attentati terroristici che seguiteranno a distruggere il turismo e quindi porteranno instabilità economica. La Turchia sarà al contempo membro della Nato e amica dell'Isis, teoricamente in guerra con i Paesi occidentali contro il Califfo, di fatto apripista della sua forza militare e dei foreign fighter.

Erdogan seguiterà su questa strada, forte del suo ricatto che fa inchinare tutta Europa di fronte al ruolo di custode della strada verso la guerra all'Isis e del contenimento dei profughi. È un ruolo potente, che gli consentirà di intrattenere rapporti con molte organizzazioni terroriste e di professare il suo amore per Hamas e il suo atteggiamento antisemita. Ieri si sono viste manifestazioni di gioia a Gaza. I curdi, gli unici veri combattenti contro l'Isis, invece si preparano al peggio. La Turchia era l'unico Paese musulmano secolare, senza ambizioni shariatiche, forte della memoria di Kemal Ataturk, il grande riformatore.

E adesso, che cos'è?

Fiamma Nirenstein

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