La riforma fiscale sta per diventare il tema del giorno. Lo sarà subito dopo la pausa estiva, quando per il governo Draghi scatterà il turno del dossier fisco, che arriva dopo quelli più urgenti del piano vaccinale, la giustizia, il lavoro, e in parallelo con la prossima legge di bilancio del 2022. Di sicuro è un dossier tra i più divisivi all'interno della maggioranza che va da Lega a Leu, da Renzi a Grillo, da Forza Italia a Pd. Lo dimostra la posizione di Tito Boeri e Roberto Perotti, ieri su Repubblica. I due economisti, in buona sostanza, non esitano ad avvertire che, per ridurre il carico fiscale sulla classe media e per spostare la pressione dal lavoro ad altre basi imponibili, c'è un solo un sistema: aumentare altre tasse. Viceversa le due operazioni non possono avvenire a costo zero, cioè senza nuovo deficit. E queste nuove imposte sono essenzialmente di natura patrimoniale: l'aumento delle tasse sui redditi da capitale e di quelle di successione. Si tratta di una posizione - i due stessi economisti dicono priva di una maggioranza politica - che è rimasta praticamente intatta negli anni, pur essendo transitata tra gli enormi e repentini cambiamenti politici, economici e finanziari dell'ultimo decennio, Covid compreso. E che per questo suona come sempre più stanca, anche al netto della sua matrice ideologica. Nuove tasse di tipo patrimoniale non sono qui considerate esecrabili in assoluto. Dipende da molte variabili. Ma di certo lo sono in questa fase storica post-pandemica, segnata dalle nuove politiche espansive comunitarie, quella economica della Commissione e quella monetaria della Bce. E, soprattutto, dalla linea dettata dallo stesso Draghi e sintetizzata in quel suo «non è tempo di prendere soldi, ma di darli». Nel merito, un tesoretto di maggior gettito da cui attingere per allentare la pressione fiscale arriva proprio dalla crescita: è una questione aritmetica, non un sogno liberale. E non è un caso che una forte spinta verso lo sviluppo sia una costante dell'azione del premier e del suo ministro del Tesoro, Daniele Franco. E ancora: se si vuole mettere in circolazione un po' di quei 1.800 miliardi (nove volte i fondi Next Generation destinati all'Italia) lasciati nei depositi bancari dagli italiani, bisogna fare il contrario di quanto suggerito da Repubblica: non alzare, bensì tagliare la tassazione sui redditi da capitale per i risparmiatori, distinguendo la natura di questi da quella degli speculatori, proprio come proposto sul Giornale dal presidente dell'Abi, Antonio Patuelli. Quei 1.
800 miliardi oggi rendono circa lo 0,03% annuo, di cui lo Stato preleva il 26%: una cifra irrilevante rispetto al gettito potenziale che deriverebbe da un'aliquota agevolata sui rendimenti del capitale di rischio per investimenti a lungo termine. Questo ci sembra un punto di partenza attuale e virtuoso. Tutto il contrario di una patrimoniale, anacronistica e minoritaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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