Strutture enormi, lontane dai centri abitati che ospitano migliaia di rifugiati che richiedono la protezione internazionale nel nostro Paese. Sono i Cara, acronimo che sta per Centri di accoglienza per i richiedenti asilo. In Italia ce ne sono quattordici, la maggior parte concentrata al centro sud. Il più grande è quello di Mineo, in provincia di Catania, che negli anni è arrivato a contenere al suo interno fino a 4mila migranti. Poi c’è Castelnuovo di Porto, a 30 chilometri dalla Capitale, che si avvia a chiudere i battenti, tra le polemiche, entro il prossimo 31 gennaio. E ancora, Gradisca d’Isonzo, in Friuli o Borgo Mezzanone, nel foggiano.
I migranti dovrebbero restarci per un massimo di 35 giorni, ma nella realtà l’attesa dura mesi, se non anni, con costi milionari per la comunità. Difficile, quindi, parlare di integrazione in luoghi che assomigliano più ad enormi ghetti, piuttosto che a oasi protette che dovrebbero assicurare accoglienza e supporto. Sì, perché quasi sempre chi è costretto ad attendere mesi per un permesso di soggiorno, finisce per arrendersi all’emarginazione, arrangiandosi tra spaccio, abuso di alcol e droga, risse e prostituzione.
A raccontare il disagio che ruota attorno a queste strutture è la cronaca degli ultimi anni. In Puglia il Cara di Borgo Mezzanone è stato inglobato dalla baraccopoli dove le mafie locali e quella nigeriana gestiscono caporalato, spaccio e schiave del sesso. Un’illegalità che spesso sconfina nello stesso centro, dove non sono rari gli episodi di violenza. L’ultimo lo scorso dicembre, quando un trentenne maliano è stato accoltellato all’interno della struttura. Anche al Cara di Mineo, il più grande d’Europa, risse e proteste sono all’ordine del giorno. Gli scandali si susseguono negli anni: prostitute, violenze, stupri e addirittura un omicidio commesso da un ospite della struttura. Nel 2017 il centro finisce nel mirino dei giudici per corruzione e appalti truccati.
I tentacoli della malavita si sono allungati anche sul Cara di Crotone, con i vertici della cooperativa che lo aveva in gestione indagati per associazione mafiosa. Spedizioni punitive e faide interne si sono susseguite in questi anni anche al Cara di Gradisca. E nella struttura di Castelnuovo di Porto, che faceva gola anche al sodalizio di Mafia Capitale, non sono mancati casi di spaccio e prostituzione. A raccontarli, tempo addietro, sono stati gli stessi richiedenti asilo, in un’inchiesta del Corriere della Sera. Una prassi che è andata avanti negli anni. Tanto che nei mesi scorsi diversi ospiti del centro sono stati trovati in possesso di sostanze stupefacenti: eroina e marijuana, che in passato è stata trovata nascosta anche all’interno della struttura.
Spesso, infatti, è difficile far rispettare le regole in strutture sovraffollate, dove sono poche le possibilità di integrazione. È questo uno dei motivi alla base del piano di superamento di questi centri, che, ha annunciato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, proseguirà con la chiusura del Cara di Mineo e con lo smantellamento di “alcune baraccopoli e tendopoli sviluppatesi in aree urbane”, definite “tempio dell’illegalità” e “indegne di un Paese civile”. L'obiettivo del Viminale, insomma, è quello di rifondare l'accoglienza "su piccoli centri, dove le spese verranno rendicontate in maniera trasparente".
Ma se chi ne ha diritto da ora in poi potrà continuare a beneficiare dell’accoglienza in strutture più piccole e controllate, resta incerta la sorte di chi ha ottenuto la protezione umanitaria, ma che per effetto del decreto sicurezza è escluso dal circuito Sprar. Dodicimila persone, secondo i dati citati da Repubblica, per le quali l'unica alternativa potrebbe essere la strada.
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