La procura di Roma ha aperto un fascicolo, per il momento senza indagati e senza nessun ipotesi di reato, in merito alla morte di Giuseppe Esposito, che la settimana scorsa ha perso la vita, mentre si trovava ricoverato all'ospedale Umberto I, in attesa di essere sottoposto a un trapianto.
Il ragazzo, 20 anni, era malato di fibrosi cistica, una grave malattia genetica, che danneggia soprattutto i bronchi e i polmoni, portando nel tempo all'insufficienza respiratoria. Le cure presenti oggi sono dirette alla prevenzione delle complicanze, ma quando il paziente raggiunge uno stato di insufficienza respiratoria irreversibile, la soluzione principale resta il trapianto polmonare.
Giuseppe era stato ricoverato nel reparto trapianti-terapia intensiva all'ospedale Umberto I, lo scorso 5 maggio, per effettuare una serie di esami, per verificare la possibilità di un trapianto di polmoni. La sorella Michela ha raccontato al Tempo che il fratello "era lucido e vigile, ma dopo aver effettuato la tracheotomia, a partire dalla sera di domenica 13 maggio, le sue condizioni sono cominciate a peggiorare".
La notte del 16 maggio, la mamma di Giuseppe, riceve dei messaggi inquietanti dal figlio, che gli chiede di denunciare l'ospedale, perché "mi stanno uccidendo".
Dopo aver letto i messaggi, i famigliari del ragazzo si precipitano in ospedale, ma i medici non li fanno entrare nella stanza, perché stanno effettuando le cure del caso, risolvendo un problema legato a un macchinario, l'Ecmo, "che serve per abbassare il livello di anidride carbonica nel sangue, a cui doveva essere sostituito il filtro". I dottori rassicurano la sorella, dicendo che la situazione è sotto controllo, ma alle 7 del mattino dopo, le condizioni del giovane iniziano a peggiorare. Alle 7.20 viene dichiarata la morte di Giuseppe.
La famiglia ha sporto denuncia, raccontanto l'accaduto, e il pm Roberto Felici ha disposto l'autopsia sul corpo del ragazzo e il sequestro del macchinario cui era collegato, del suo cellulare e della cartella clinica.
Michela sostiene che il fratello fosse stato "attaccato a una macchina che aveva già dato problemi". Lui si lamentava e chiedeva aiuto, ma per i medici erano solo i deliri causati dal sedativo.
"Me lo hanno ammazzato", perché la morte del ragazzo non può essere riconducibile alla malattia e, adesso, Michela, insieme ai suoi genitori, chiede solo giustizia per Giuseppe, "perché è stata la sua ultima disperata preghiera". E non si arrenderà mai, finché non l'avrà ottenuta: "Hanno giocato alla roulette russa con la vita di un ragazzo di 20 anni e io non gli darò tregua".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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