"La sadica violenza del branco": la vera storia della "Scuola Cattolica"

Nel 1975 Rosaria Lopez e Donatella Colasanti vennero sequestrate in una villa del Circeo, dove tre aguzzini le picchiarono e violentarono per ore. La prima venne uccisa, la seconda si salvò solo fingendosi morta. "Un delitto premeditato, caratterizzato da una sadica violenza", ha commentato la criminologa Rosa Francesca Capozza.

Donatella Colasanti medicata dopo le sevizie
Donatella Colasanti medicata dopo le sevizie

Un volto insanguinato sbuca dal bagagliaio di una Fiat 127 bianca. È l'immagine simbolo di uno dei crimini più efferati della storia italiana, che la mattina del 1° ottobre 1975 portò alla luce un massacro consumatosi in una villetta del Circeo. Botte, violenze e torture per le quali vennero condannati tre ragazzi della Roma bene, alcuni cosiddetti "Pariolini": Angelo Izzo, 20 anni, Gianni Guido, 19 anni e Andrea Ghira, 22 anni. Due finirono in carcere, mentre il terzo si rese latitante. Nel bagagliaio dell'auto c'erano due ragazze: Rosaria Lopez, 19 anni, uccisa dal gruppo, e Donatella Colasanti, 17 anni, che riuscì a sopravvivere alla furia omicida di quelle ore. Per farlo dovette fingersi morta. "Un delitto premeditato, caratterizzato da sadica violenza, menzogna abituale, mancanza totale di empatia, compassione e senso etico inesistente", ha commentato la criminologa Rosa Francesca Capozza, parlando del profilo psicologico di Angelo Izzo.

Una vicenda di cronaca raccontata da libri e documentari e ora diventata un film che, dal prossimo 7 ottobre, verrà proiettato nelle sale italiane. Ma La Scuola Cattolica di Stefano Mordini, tratto dal libro omonimo di Edoardo Albinati, sarà vietato ai minori di 18 anni. Una scelta che ha lasciato "sorpresi" i famigliari delle due vittime del massacro che, come spiegato dal loro avvocato al Corriere della Sera, hanno "apprezzato la volontà di tramandare, anche in chiave di ammonimento per il futuro, la memoria della loro tragedia, soprattutto alle giovani generazioni".

La trappola della festa

Donatella e Rosaria avevano conosciuto Angelo Izzo e Gianni Guido qualche giorno prima. Il giovedì precedente alla vicenda Donatella si era recata al cinema con l'amica Nadia. Fu lei stessa a raccontare, in una testimonianza riportata da Misteri d'Italia (che cita il libro Tre bravi ragazzi di Federica Sciarelli), che quel giorno conobbero "un certo Carlo". Il ragazzo accompagnò le amiche a casa e "durante il tragitto ci propose di vederci nuovamente, insieme a un suo amico". Per questo Donatella diede a Carlo il numero di telefono, a cui il ragazzo la rintracciò il sabato successivo. Quel pomeriggio, si diedero appuntamento in un bar all'Eur. Lì, Donatella andò insieme a Rosaria, dato che "Nadia era con la sorella e due amiche al luna park", mentre Carlo si presentò insieme ad Angelo e Gianni.

Nulla di strano nell'atteggiamento dei giovani fece insospettire le due amiche. Così, quando loro chiesero un nuovo appuntamento per il lunedì successivo, nulla spinse Donatella e Rosaria a rifiutare. "Ci dissero, visto che erano in tre, di portare un'amica", ma anche quella volta Nadia non aveva potuto aggiungersi alle amiche: "Così eravamo solo io e Rosaria - spiegò Donatella nella sua dichiarazione - Ma anche Carlo non si presentò". Alle 16 di lunedì 29 settembre 1975, davanti al cinema Ambassade, si incontrarono Donatella, Rosaria, Angelo e Gianni. I giovani proposero alle ragazze prima una passeggiata al mare a Lavinio, poi di andare a trovare Carlo nella sua villa dove si sarebbe tenuta una festa e mentre erano sulla strada si fermarono per fare una telefonata. "Prendemmo una strada laterale - ricordò Donatella - Sulla sinistra vi era un albergo con un'insegna rossa, e dopo l'albergo si saliva verso il paese, poi si procedeva oltre. Prendemmo una strada che non era del tutto asfaltata. Arrivammo davanti a una villa. Era bianca, a tre piani, all'entrata vi era una porta a vetri con infissi di legno marrone. Loro cercarono le chiavi, vicino al cancello".

Erano circa le 18 quando i quattro arrivarono alla villa di San Felice Circeo. Quella casa, che le ragazze pensavano appartenesse a Carlo, era in realtà della famiglia di Andrea Ghira, il terzo ragazzo riconosciuto colpevole per le terribili violenze che si consumarono nell'abitazione del Circeo. Poco dopo il loro arrivo alla villa, Angelo e Gianni puntarono una pistola contro le ragazze: "Ecco la festa!" - dissero, come ricordò la Colasanti in un'intervista - Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz'aria".

Il massacro nella villa del Circeo

Angelo Izzo
Angelo Izzo

Per spaventare ancora di più le due amiche Angelo disse di appartenere, insieme a Guido, alla banda dei Marsigliesi e, come ricorda Donatella, "che doveva arrivare un certo Jacques (Jacques Berenguer, ndr) che era il loro capo, che era terribile, e che era stato lui a dare l'ordine di prendere due ragazze". Nel corso della notte tra il 29 e il 30 settembre 1975 gli aguzzini iniziarono a mettere in atto violenze e umiliazioni di ogni tipo. Le due ragazze rimasero per tutta la notte nude, all'interno di un bagno senza finestra, senza cibo né acqua, vennero picchiate, torturate e subirono abusi di tipo sessuale.

Nel frattempo, stando a quanto riportò l'Unità del 2 ottobre 1975, "i genitori delle ragazze, non vedendole rientrare a casa, si erano allarmati ed avevano denunciato la loro scomparsa, ma tutte le ricerche, ovviamente, non hanno dato risultati". Così, i due giovani poterono continuare il massacro. Durante la serata, Guido si allontanò dalla villa del Circeo per una cena con la famiglia (per tornare qualche ora più tardi), mentre Angelo rimase nell'abitazione insieme alle ragazze. Le violenze andarono avanti per tutta la notte e continuarono anche il giorno seguente. A un certo punto, il lavandino del bagno in cui erano rinchiuse Donatella e Rosaria si ruppe e i due aguzzini si arrabbiarono, schiaffeggiarono le amiche e le trasferirono in un altro bagno.

Le ultime ore

Andrea Ghira
Andrea Ghira

Nel pomeriggio di martedì al Circeo arrivò anche Andrea Ghira e i tre, insieme e fortificati dalla loro unione, continuarono con le violenze, arrivando a compiere azioni ancora più terribili. "Il branco - ha spiegato a ilGiornale.it la criminologa Rosa Francesca Capozza - rappresenta un incentivo all’acting out, ovvero al passaggio all’atto di ideazioni delinquenziali, costituisce un fattore di ulteriore deresponsabilizzazione e dissipazione di remore e freni inibitori proprio per la percezione della diffusione di responsabilità che all’interno di un gruppo avviene, in special modo se composto da soggetti ben disposti verso la violenza e l’attuazione di condotte criminose".

All'inizio, Ghira parlò a Rosaria e Donatella, rassicurandole sul loro ritorno a casa. Poi le ragazze vennero separate e il massacro continuò con vessazioni, torture e violenze di ogni tipo, fino alle ultime terribili ore passate nella villa. Rosaria venne portata in un bagno al piano superiore: "Da quel momento non l'ho più vista - ha raccontato Donatella nell'intervista - L'ho sentita, però, l'ho sentita che gridava. [...] Poi sentii aprire il rubinetto della vasca da bagno, e immediatamente dopo avvertii i suoni emessi da una persona la cui faccia è immersa nell'acqua, dei rantoli come di qualcuno che cerca di riprendere fiato". Infine, all'improvviso, il silenzio.

Rosaria, rivelò poi l'autopsia, come riportò l'Unità, morì "per asfissia da annegamento", dopo essere stata violentata e torturata dai ragazzi che le spinsero "ripetutamente la testa nella vasca da bagno piena d'acqua". Nel frattempo anche Donatella subiva ogni tipo di maltrattamento: i suoi aguzzini la trascinarono in giro per la casa con una cinghia legata al collo e quando, dopo un momento di distrazione, si accorsero che era riuscita a raggiungere il telefono per chiedere aiuto, la colpirono in testa con una spranga. Poi calci e tentativi di strangolamento: uno di loro, raccontò la Colasanti, "mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa. Ho capito che l'unica, minuscola, speranza che mi rimaneva era fingermi morta". Così, Donatella si pietrificò e smise di reagire, tanto che i tre ragazzi la considerarono morta e, presa una coperta, la caricarono nel bagagliaio dell'auto.

Uno dei tre arrestati viene portato da Donatella Colasanti per il confronto in ospedale
Uno dei tre arrestati viene portato da Donatella Colasanti per il confronto in ospedale

Poco dopo caricarono anche il corpo di Rosaria e lasciarono la villa del Circeo. "L'allucinante massacro, secondo la ricostruzione degli inquirenti, si è concluso martedì sera", spiegò ai tempi il giornalista Sergio Criscuoli sull'Unità. Le ragazze restarono nelle mani dei loro aguzzini per oltre 24 ore. Poi, racconta ancora Criscuoli, "inspiegabilmente, i tre squadristi hanno deciso di tornare a Roma portando anche i corpi delle ragazze, che credevano entrambe morte. Li hanno pigiati nel portabagagli di una '127' e si sono diretti verso la Capitale". A quel punto parcheggiarono l'auto in via Pola, al Nomentano, e si allontanarono. Fu allora che Donatella, rimasta vigile anche durante il tragitto, cercò di attirare l'attenzione dei passanti per chiedere aiuto. Un metronotte sentì il richiamo di Donatella e avvisò immediatamente le forze dell'ordine. La comunicazione venne intercettata anche da un fotografo, che corse sul posto e riuscì a scattare la nota fotografia del volto di Donatella che sbuca dal bagagliaio.

I processi

Donatella Colasanti al processo
Donatella Colasanti al processo

In poco tempo, gli autori del massacro vennero identificati. Angelo Izzo e Gianni Guido vennero arrestati, accusati di omicidio volontario e altri reati tra cui "violenza carnale e sequestro di persona", come precisò l'Unità del 6 ottobre 1975. Andrea Ghira invece scomparve nel nulla rendendosi latitante. Ghira e Izzo non erano nomi sconosciuti alle forze dell'ordine: "Nel '73, le indagini per una rapina avvenuta in casa di un industriale, in via Panama, condussero la polizia proprio a Ghira e a Izzo - si leggeva sull'Unità del 2 ottobre - Il primo fini in galera, per riuscirne però ben presto e il secondo fu prosciolto dalle accuse visto che gli indizi contro di lui, secondo la magistratura, erano insufficienti. Bastarono invece a procurargli una condanna a due anni — mai scontata — quelli raccolti dalla mobile dopo la violenza carnale, ai danni di una minorenne". Il processo di primo grado si svolse nel luglio del 1976 e i giudici condannarono i tre imputati all'ergastolo.

Nel 1980 i giudici dell'appello confermarono la condanna all'ergastolo per Ghira e Izzo, ma ridussero a 30 anni quella di Guido, perché gli vennero riconosciute le attenuanti generiche, grazie al risarcimento che la sua famiglia dispose in favore di quella della Lopez. L'anno successivo la Cassazione confermò le condanne. La vita in carcere di Guido fu caratterizzata da diversi tentativi di evasione: il primo, non riuscito, nel 1977, insieme a Izzo. Riuscì invece a fuggire nel 1981, rimanendo latitante fino al 1983, quando fu rintracciato a Buenos Aires e ricondotto in carcere, dopo un nuova evasione, avvenuta mentre era in attesa di estradizione. Nel 2009 Gianni Guido è uscito dal carcere. Anche Angelo Izzo tentò diverse volte l'evasione dal carcere, riuscendo a fuggire due volte: la prima nel 1994, mentre la seconda nel 2004. Andrea Ghira invece non venne mai catturato: solo nel 2005 si scoprì che si era arruolato nella Legione straniera e che sarebbe morto di overdose nel 1994 e seppellito nel cimitero di Melilla.

Angelo Izzo, da omicida a serial killer

Angelo Izzo nel 2007
Angelo Izzo nel 2007

Nel 2005 Angelo Izzo, evaso dal carcere, tornò a uccidere. Questa volta, le sue vittime furono una ragazzina di 14 anni e la madre, Valentina e Maria Carmela Maiorano, figlia e moglie di Giovanni Maiorano, un 49enne che aveva conosciuto in carcere. Izzo venne arrestato il 30 aprile 2005 vicino a Campobasso: uscito dal carcere per permessi premio, si trasformò da omicida in assassino seriale.

"Angelo Izzo presenta chiaramente la personalità del serial killer", ha spiegato la criminologa Capozza, delineandone i principali tratti distintivi. Tra questi, "il sadismo, la totale anaffettività e il senso di inferiorità sessuale cui è correlato il bisogno di compensazione attraverso l’onnipotenza, ovvero il senso di totale dominio e possesso dell’altro". Il comportamento tenuto durante il massacro, le sue confessioni ed esternazioni permettono di inserire Angelo Izzo in due categorie di assassini seriali: "Edonistic, per la ricerca del proprio interesse o piacere - spiega l'esperta - e Power/Control -OrientedType, per il desiderio di uccidere per ricavare godimento dal potere assoluto esercitato sulla vittima".

Ma la personalità di uno dei killer del Circeo appare molto più complessa. "Presenta una personalità infantile, immatura, poco evoluta, incapace di tollerare le frustrazioni, di comprendere e accettare la realtà in modo adulto e resistere alle pulsioni, con un'evidente sindrome di inadeguatezza e senso di inferiorità che spiega l’esigenza di compensazione ricercata nel sentirsi 'superuomo' (come lo stesso afferma in varie interviste) e sfogare il senso frustrante della propria percezione di debolezza in aggressività verso chi ritiene inferiore e incapace di difendersi". Un atteggiamento che deriverebbe da un "senso di sé incerto", che viene "compensato da un velleitario bisogno di protagonismo", che sfocia nella violenza cieca del massacro e dell'omicidio. "Assente - continua l'esperta - è il senso di colpa e la capacità di pentimento".

Nonostante queste caratteristiche nel 2004 Izzo potè godere di permessi premio e successivamente della semilibertà, che lo portarono fuori dal carcere. A deciderlo furono i giudici, che si basarono sulla relazione di un esperto del carcere di Campobasso: "Ritengo che il superiore organo giudicante possa a questo punto prendere in esame senza timore l'ipotesi della concessione di un permesso premio di riapertura a questo detenuto", si leggeva sulla relazione dell'esperto, secondo quanto riportato al tempo dal Corriere della Sera.

Ma come fece l'aguzzino del Circeo a convincere i medici del suo cambiamento? "L’Osservazione Scientifica della personalità che si intraprende nei confronti di ogni condannato - spiega la criminologa Capozza - è un processo molto complesso in cui ogni esperto deve attentamente valutare e giudicare sia il profilo di personalità del reo, che il percorso più o meno evolutivo realizzato. Sicuramente, al fine di effettuare una valutazione quanto più possibile attendibile, occorre integrare numerose fonti informative e in particolar modo tutto ciò che attiene anche la comunicazione non verbale, oltre che quella verbale del detenuto.

Probabilmente qualche fonte informativa di questo tipo non è stata sufficientemente rilevata e approfondita con conseguenze purtroppo tragiche". Izzo infatti approfittò di quel momento per compiere un altro massacro, dopo quello del Circeo: due donne, madre e figlia, vennero uccise.

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