Giletti e la rissa con il sindaco "Ecco cos'è successo a Mezzojuso"

Il conduttore replica alle accuse del primo cittadino di Mezzojuso e racconta di una Sicilia che vuole dare un'immagine diversa di se stessa

Giletti e la rissa con il sindaco "Ecco cos'è successo a Mezzojuso"

Massimo Giletti non ci sta alle accuse lanciate dal sindaco di Mezzojuso, Salvatore Giardina, e affida il suo pensiero al Giornale.it. Una contesa, tra il conduttore e il primo cittadino, che va avanti da mesi per la vicenda delle sorelle Napoli e che ha avuto l'ultimo epilogo dopo la puntata della trasmissione 'Non è l'Arena' andata in onda dalla piazza di Mezzojuso.

Riavvolgiamo il nastro. Cosa è successo l'altra sera?
"A me pare che si sia persa l'ennesima occasione. Io ho aperto la puntata, dalla bellissima piazza di Mezzojuso, dando la mia massima disponibilità ma quando mi accorgo che il sindaco di Mezzojuso afferma di andare alla tumulazione di Don Cola (l'ex capomafia di Mezzojuso, ndr). Per me non c'è più dialogo. La stima che io posso avere per una persona, seppur la pensa diversamente da me, non c'è più nel momento stesso in cui fa un'affermazione del genere. Credo che andare alla tumulazione dell'uomo che portava i pizzini di Provenzano, l'uomo che ha coperto la latitanza del boss corleonese sia un atto gravissimo. Provenzano non è uno qualunque. È l'uomo delle stragi, quando una persona riveste un ruolo istituzionale ed esterna un pensiero del genere, lì finisce il gioco e capisco tante cose".

Tipo?
"Ad esempio, capisco perché queste donne sono isolate. Se un sindaco di un paese non ha vergogna di dire che è andato alla tumulazione di Don Cola, vuol dire che di strada ce n'è tanta ancora da fare. La sintesi di quella sera l'ha detta il sindaco di Troina, Fabio Venezia, quando rivolgendosi ai cittadini di Mezzojuso dice: "Non parlare di mafia significa aiutare la mafia. L'omertà ha isolato persone che hanno poi perso la vita". Ecco se c'è un pregio della nostra trasmissione è quella di dare voce a tutti, ma anche quella di far vedere la bellezza di Mezzojuso con quelle due splendide chiese".

Qual è il messaggio che deve passare?
"Essere mafiosi è qualcosa di grave. Bisogna fare passare un messaggio diverso. Il pregio di quella serata è stata far vedere quella parte siciliana sana e sentire gli amici di Troina dire forte e chiaro: 'No alla mafia'. Il sindaco Venezia da quattro anni vive sotto scorta ed è riuscito a sconfiggere la mafia dei pascoli. Quando gli ho detto che Giardina, all'epoca assessore, andò alla tumulazione di don Cola La Barbera nonostante la Questura avesse vietato i funerali pubblici, lui ha risposto con una frase bellissima che sintetizza la serata: 'Io i mafiosi li accompagno dietro le sbarre e non al cimitero'. Ecco questa è la differenza".

Il sindaco contesta che la trasmissione ha fatto poco share.
"Il sindaco dovrebbe informarsi meglio. Sfiorare il 7 per cento è un record per una trasmissione che è durata 4 ore 40 minuti parlando di mafia. Dovrebbe informarsi sull'analisi dei dati di ascolto. E potrei aggiungere anche un altro dato che fotografa la situazione attuale. Siamo stati la seconda televisione italiana per ascolti dopo la mezzanotte, con picchi dell'11 per cento. Segno che fare un'informazione di qualità, sul territorio e parlare alla gente di argomenti spinosi come la mafia: interessa perché la gente vuole sapere, vuole informarsi".

Giardina però, sostiene che lei abbia alterato la realtà.
"Io non mistifico nulla. Ho semplicemente mostrato al sindaco un atto notarile che attesta che il terreno è stato acquistato dal nonno delle tre sorelle nel 1923 mentre il sindaco parlava di acquisto più recente fatto dal padre delle tre donne, avvenuto negli anni in cui quei terreni erano sotto il controllo della mafia corleonese".

Eppure a Mezzojuso la tensione è palpabile. Non c'è il rischio che il paese abbia una sovraesposizione mediatica?
"Io quando ho fatto il primo collegamento con Mezzojuso ho teso la mano. Antonio di Pietro in trasmissione disse: 'Ma sindaco dove è stato in tutti questi anni?' Ed è vero, perché qualcuno ha sicuramente sbagliato. Io dal canto mio sono uno che fa il suo mestiere, cerca di approfondire, di conoscere la realtà e cerca di farlo nel miglior modo possibile".

Le sorelle Napoli adesso sembrano ancora più isolate.
"Queste donne lottano da anni per i propri diritti e come unico salvagente hanno i carabinieri. Non si può gettare fango su di loro dicendo che Salvatore Napoli (il padre, ndr) era un capo mafioso quando invece, come attesta la relazione del colonnello Obinu, il capo mafioso era un suo lontano cugino, Giovanni Napoli. Allora qualche domanda me la faccio. Mi domando ma che senso ha parlare del padre o del nonno? Ci sono tre donne che si sono rivolte ai carabinieri denunciando pressioni e intimidazioni fatte con metodi che fanno molto pensare alla mafia. E invece, di elogiarle per l'impegno civico, vengono isolate".

Adesso sulla storia delle sorelle Napoli c'è un libro che ne racconta le vicissitudini.
"Nel mio libro "Le Dannate" io non nascondo nulla, ma mi piace raccontare la Sicilia di queste tre donne. È la Sicilia che vuole voltare pagina.

Le sorelle Napoli sono andate nel 2014 dai carabinieri e hanno denunciato le pressioni che hanno ricevuto. E questo voglio fare: raccontare quello che hanno fatto queste tre donne. La grande maggioranza dei siciliani è vicina a queste donne. Io dico solo che un paese dovrebbe unirsi e denunciare".

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