Se c'è un dato che la guerra in Ucraina ha messo in evidenza, questo è l'incapacità dell'Unione Europea a contare davvero. Sulla carta la Ue è una grande potenza (i 27 Paesi investono quasi 240 miliardi di euro in spese militari, quattro volte la Russia), nella realtà è ininfluente. Non ha una politica della difesa comune, tanto meno una politica estera che si faccia valere. Si divide sulle sanzioni alla Russia e parla (basta guardare ai capitoli delle possibili riforme da apportare ai trattati) di gender, ma non di padri o di madri, elenca una serie di diritti senza doveri, si dimentica delle radici cristiane ma non degli insetti autoctoni. Ma, soprattutto, ai grandi appuntamenti arriva divisa o, visto che c'è sempre qualche bastian contrario, è costretta a ridurre le sue ambizioni. Insomma, resta una grande incompiuta che da una parte non riesce a tenere a bada Putin, e, dall'altra, ad influenzare come potrebbe - e dovrebbe - la politica dell'Alleanza Atlantica.
Il problema è che non si può diventare grandi se bisogna decidere in 27, se basta un Paese, con il diritto di veto, a bloccare tutto il carrozzone. Perché con queste regole, purtroppo, di carrozzone si tratta. Basta pensare, per dirne una, al veto posto dall'Austria sull'ipotesi di una procedura urgente per aprire all'Ucraina il cancello dell'Unione. Ecco, la guerra dimostra che nel nuovo ordine mondiale con queste logiche l'Europa rischia di avere solo il ruolo della comparsa. È accettabile? No, specie in un mondo nel quale per dire la tua devi avere una dimensione continentale. Per cui c'è bisogno d'Europa ma non di questa Europa. E la prima questione, il problema dei problemi, è il diritto di veto che è assolutamente incompatibile con l'idea di una grande Unione. Perché essere grandi, essere in tanti, non significa niente se non hai la capacità di decidere.
È un tema importante, che la vicenda ucraina per alcuni versi ha reso imprescindibile. Anche perché senza un'Europa all'altezza l'Occidente, si può dire ciò che si vuole, è menomato. Ecco perché la prima riforma da introdurre nei trattati è la possibilità di decidere a maggioranza. Costi quello che costi. Al punto da immaginare che chi non è d'accordo con una regola del genere potrebbe essere invitato a lasciare l'Unione o, magari, ad avere un rapporto diverso con essa. Si è parlato in passato di Europa a due velocità, si potrebbe arrivare a tre, a quattro (si fa per dire) o inventarsi qualcos'altro. L'importante è che le nazioni che fanno da battistrada non siano costrette a rallentare.
Appunto, quello che va preservato è il nocciolo duro, i Paesi fondatori e chi ha maturato in questi decenni uno spirito europeista al punto da accettare norme che consentano non solo di decidere insieme, ma, soprattutto, di decidere. In fondo la Storia ci insegna che è meglio essere pochi e uniti, che tanti ma divisi.
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