Meglio il referendum del compromesso

Se la riforma della giustizia andasse avanti col passo del gambero, sarebbe meglio lasciare le cose come stanno e affidarsi al referendum.

Meglio il referendum del compromesso

Se la riforma della giustizia andasse avanti col passo del gambero, sarebbe meglio lasciare le cose come stanno e affidarsi al referendum. Lasciare decidere gli italiani, dato che i partiti in Parlamento non riescono a trovare una soluzione che non sia al ribasso alla devastante crisi in cui versa la nostra giustizia.

La storia delle cosiddette «porte girevoli» è esemplare. Per «porte girevoli» si intende la facoltà di cui hanno fatto uso molti magistrati per diventare deputati o senatori senza perdere il diritto di tornare alla toga. Grazie alla «porta girevole», la stessa persona poteva essere di volta in volta colui che fa le leggi e che le applica. Una stortura talmente evidente che sembrava pacifico andasse sanata, mettendo fine con la riforma a qualsiasi intrusione del mondo giudiziario nel legislativo e nell'esecutivo. Eppure, perfino questo provvedimento di lapalissiano buonsenso si blocca davanti a veti e controveti. Perché la chiusura delle porte girevoli sarebbe uguale per tutti, ma alcuni magistrati sono più uguali degli altri, come nella Fattoria degli animali di Orwell. Per esempio, quelle toghe che, per qualità e competenza tecnica, vengono chiamate a svolgere funzioni importanti nella pubblica amministrazione e talvolta sono nominati sottosegretari o ministri. Quando ciò accade, il magistrato che faccia parte di un governo - per esempio quello di Draghi - se perde l'incarico, torna a fare il magistrato che era prima.

Obiezione: ma non avevamo detto di aver chiuso le porte girevoli con la riforma? E qui entra in scena l'astuzia. Con l'escamotage del ministro Cartabia, che avrebbe proposto un divieto valido solo per i magistrati che si sono candidati alle elezioni e sono stati eletti, non per quelli che entrano in un governo da tecnici. Come ad esempio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, che nasce giudice amministrativo e che poi ha lavorato con diversi ministeri e sarebbe stato scelto personalmente dal premier Mario Draghi. Riassumendo: un magistrato che fa parte del governo ma non del Parlamento può restare giudice perché in fondo non fa le leggi.

Tutto bene? No davvero, perché il personale dell'esecutivo ha un enorme e talvolta assoluto potere sul Parlamento che fa le leggi. E dunque il sospetto è che nella stesura della riforma si stia cercando di aggirare il divieto delle porte girevoli. Se fosse vero, saremmo da capo a dodici.

E il Paese si troverebbe di nuovo alle prese con figure che possono essere ora politico e ora giudice e che, indossando due cappelli con la scusa di essere entrate a far parte dell'esecutivo, seguiterebbero a influenzare il potere del Parlamento. Ed eccoci tornati un passo indietro, come i gamberi: non si discute la qualità di un singolo, ma non si può transigere fin da ora sulla fermezza di un principio. Altrimenti, come detto, meglio il referendum.

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