"Lombroso razzista coi meridionali? No, vi spiego perché"

Un senatore lucano chiede la chiusura del Museo Lombroso, con l'accusa di "razzismo scientifico". "Non ci sono espressioni di razzismo, il museo non deve chiudere", dice il professore di Storia Moderna Luca Addante

"Lombroso razzista coi meridionali? No, vi spiego perché"

Il Museo Lombroso al centro dell’ennesima, circolare e ciclica polemica. Nelle scorse settimane il senatore 5 Stelle Saverio De Bonis ha accusato la struttura di “razzismo scientifico”, chiedendone la chiusura al ministro per i Beni Culturali attraverso una domanda retorica.

Il medico Lombroso - scrive De Bonis sul sito del Senato - non esitò a scorticare cadaveri, mozzare e sezionare teste, effettuare i più incredibili e crudeli interventi su uomini ritenuti criminali per le misure di parti del cranio e del corpo e tutto il materiale su cui lavorare gli veniva fornito da carabinieri, bersaglieri, guardia nazionale, eccetera, durante le mattanze al Sud. Ma Lombroso non disdegnava neanche procurarsi da sé l'occorrente per dare credito alle sue incredibili teorie fondate su certe forme di razzismo scientifico e per questo si recava personalmente nelle carceri dove erano detenuti ex soldati borbonici, briganti e veri delinquenti; la sua teoria infatti aveva individuato il delinquente ‘perfetto’ nel meridionale”.

Ma le cose stanno veramente così? Lo abbiamo chiesto a Luca Addante, calabrese professore di Storia Moderna all’Università degli Studi di Torino. "Sono meridionale e vivo da 12 anni a Torino - racconta Addante a IlGiornale.it - ho vissuto in diversi luoghi del Nord Italia (ho anche insegnato a Venezia), per cui sono estremamente sensibile alla questione del razzismo meridionale”. Il professore ha fatto parte di una delegazione che è andata in visita al Museo Lombroso, scandagliando una quantità enorme di reperti. “Ci sono andato anche con un pregiudizio, dovuto a quello che avevo letto in precedenza - aggiunge il docente - quindi non ero disposto a fare nessuno sconto laddove avessi ravvisato degli elementi che fossero espressione di razzismo”. Ma non c’è nulla di razzista nel Museo Lombroso, tanto più che non contiene solo resti di criminali meridionali, ma soprattutto di criminali piemontesi. Per fare un esempio, ci dice Addante, “ci sono dei manifesti con su scritto brigante italiano, non brigante meridionale”.

Che cos’è il Museo Lombroso

Museo Lombroso

Cesare Lombroso (nato Marco Ezechia) è stato un medico e uno scienziato vissuto tra il 1835 e il 1909. Concepì delle teorie da tempo confutate, pur influenzate dal darwinismo, che in realtà vengono riportate sui libri universitari per una ragione importante: spiegare come “funziona” il metodo scientifico che, nel tempo, si serve di tentativi, di errori e di correzioni - spesso non effettuati sempre dalla stessa persona, a volte ci vogliono anche più generazioni - che aiutano a giungere a ipotesi e teorie provate o quanto più vicino possibile alla realtà.

Le teorie di Lombroso sono ben lontane dalla verità, ma questo è ampiamente risaputo. E non vuol dire che Lombroso non abbia anche dei meriti che potremmo definire involontari: consistono nel modo in cui il medico è giunto alle teorie, nel modo in cui sono state confutate, oltre a una quantità ragguardevole di materiale ordinato, schedato e pronto per essere fruito che hanno portato alla costituzione del Museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” appunto. La raccolta del materiale avvenne quando ancora Lombroso era in vita e in attività, ossia dal 1876: dopo varie “migrazioni” di sede, dal 2001 è nel Palazzo degli Istituti Anatomici dell’ateneo torinese. Ma a parte queste nozioni, c’è una risposta a una domanda, che è più importante di tutto nel contesto: il Museo Lombroso deve restare aperto?

La risposta è sì, ovviamente. “Il diritto all’istruzione e la tutela dei beni culturali sono nella Costituzione - chiarisce Addante - I musei si aprono, non si chiudono. Quel museo ha delle caratteristiche molto particolari, per via della presenza di documenti sulle classi subalterne, che sono rarissimi. Noi storici abbiamo documenti per lo più prodotti dalle élite, e quando abbiamo la possibilità di attingere ai pensieri delle classi subalterne ci lecchiamo le dita”. E inoltre sul fatto che nella struttura non ci siano intenti razzisti si è pronunciato l’International Council of Museums, che ha stabilito che la dispersione dei pezzi del Museo Lombroso “sarebbe la negazione di ogni etica museale”.

C’è poi la questione della filosofia e della pratica scientifica: il Museo Lombroso è un esempio di come la scienza opera. “La scienza opera in questo modo: errori, correzioni di errori, altri errori, altre correzioni e così via - illustra Addante - Noi esseri umani non sappiamo tutto e andiamo cercando la verità attraverso il pensiero scientifico, per tentativi. Nella disposizione museale della struttura tutto ciò è spiegato in modo esemplare, cristallino. Se non avessimo avuto il tanto esecrato Lombroso, che tra l’altro nessuno si è mai sognato di avallare, non avremmo l’antropologia criminale. Ma la sua teoria è stata fondamentale per lo sviluppo di altre discipline. Senza Copernico non avremmo avuto Galilei, anche se Copernico commise degli errori”.

Il caso del “non brigante” Villella

Addante ha ripercorso un bizzarro caso di falsificazione storica in un suo intervento sul Corriere della Calabria. Alla fine del 2016, la Corte d’Appello di Catanzaro si è ritrovata a decidere di un cranio ospite proprio del museo Lombroso: in pratica c’era chi sosteneva che il cranio, appartenuto a Giuseppe Villella, fosse quello di un brigante che si era battuto per la libertà del Mezzogiorno e quindi dovesse tornare al suo paese d’origine. Nel 2009 il cranio aveva trovato una risistemazione nella struttura museale e la notizia era giunta dalla stampa ad alcuni movimenti neoborbonici, che hanno dato vita a questa grande menzogna, ossia che Villella fosse un brigante e che si fosse battuto per la libertà del Sud.

Al di là delle precisazioni che andrebbero fatte sull’Unità d’Italia e che richiederebbero ben più di un articolo - infatti esistono i manuali di storia e le monografie per questo - va ricordato che Villella non era un brigante, ma un piccolo criminale sfortunato. Che all’ennesimo arresto, in epoca post-unitaria, fu tradotto nel carcere di Pavia, dove morì a causa di una malattia. Lombroso ebbe per le mani i suoi resti, per ragioni di studio, solo anni dopo: quindi è davvero impensabile la ricostruzione macabra e fantasiosa secondo cui Lombroso avrebbe decapitato personalmente il detenuto. E si deve riconoscere come il museo abbia sottratto Villella da oblio e anonimato, in cui invece la Storia, da criminale comune, l’avrebbe relegato. “I medici, almeno dal ‘500 - spiega Addante - hanno sempre avuto qualcuno a loro vicino a livello locale, che forniva resti umani da studiare. Siamo alle origini della scienza anatomica. Lo stesso Lombroso, vivendo a Torino, ricevette il grosso dei reperti appunto da Torino. Il fatto che abbia ricevuto il cranio di Villella ce lo dimostra ulteriormente, perché il suo corpo era a Pavia non in Calabria”.

I movimenti neoborbonici

Museo Lombroso

Le levate di scudi cicliche contro il Museo Lombroso sono inevitabilmente legate ai movimenti neo-borbonici, che sono mossi da diverse istanze: da un lato per alcuni c’è la cosiddetta sindrome da età dell’oro mai esistita (almeno non come viene descritta), dall’altro c’è una possibile strumentalizzazione politica.

Il fenomeno, dice Addante, è partito da lontano ma non troppo. Negli anni ’80, alcuni hanno iniziato a sfoggiare adesivi del Regno delle Due Sicilie, ma i movimenti neoborbonici sono proliferati soprattutto a partire dagli anni ‘90, in corrispondenza dei centenari delle repubbliche giacobine, tra il ’96 e il ’99, quando la stampa iniziò a dare un certo risalto anche ad alcune proteste portate avanti da persone che non erano studiosi. “Ci fu un assalto in grande stile e una certa stampa diede credito a questa contronarrazione - spiega il professore Addante - Con i social, poi, hanno iniziato a circolare una serie di affermazioni che sono paragonabili al terrapiattismo. Inoltre in quel periodo nasce la Lega: di fronte allo spegnersi della vecchia questione meridionale, che aveva esaurito la sua parabola, la reazione alla Lega Lombarda non fu condotta dagli intellettuali, dagli studiosi, ma da gente comune che non aveva gli strumenti scientifici. Il discorso fu ribaltato in maniera naïf, ci fu una reazione bambinesca, anche se sono anche persuaso della buona fede della maggior parte di queste persone. Parallelamente però c’è stata la fioritura di leghe meridionali”. E in alcune di queste leghe meridionali, delle sentenze passate in giudicato hanno riscontrato connessioni con la criminalità organizzata.

Ma c’è un fatto imprescindibile: viviamo in una nazione unita e repubblicana, per cui inneggiare alla restaurazione monarchica o alla disunità sarebbe come auspicare un colpo di Stato. Poi ci sono delle storie che vengono raccontate e che non hanno il rigore che invece ha la Storia, che gli studiosi vagliano con le sue complessità in maniera scientifica.

Nelle piccole storie neoborboniche, come spesso accade nei meccanismi di propaganda, vengono annoverati dei fatti verosimili o addirittura veri (la ferrovia Napoli-Portici, per esempio), ma vengono trasfigurati, esagerati e, per usare un calembour linguistico-matematico, da parabola diventano iperbole. “Ci sono elementi di verità - chiosa Addante - ma il problema è come interpretarli. La ferrovia Napoli-Portici fu il primo tratto ferrato. Qual è il problema? Che Cavour, in Piemonte, quando ha avviato le ferrovie, poi ha creato una rete ferroviaria a livello regionale e non solo, e ha posto le basi, come è avvenuto in inghilterra, per la Rivoluzione Industriale. La Napoli-Portici era una sorta di metropolitana del re per andare da una reggia all’altra: il grosso dello sviluppo ferroviario al Sud è avvenuto durante l’età unitaria, prima non c’è stata una politica industriale, niente di significativo. Nelle narrazioni neoborboniche ci sono degli elementi di verità ma vengono stravolti, con esiti paradossali. Certo, le forze risorgimentali erano consapevoli dei loro limiti: c’era una constatazione evidente che qualcosa che non andava, che si cominciava a creare squilibrio tra Nord e Sud. Ma i movimenti neoborbonici ingigantiscono fatti veri o inventano. Eppure siamo in uno stato unitario e ce lo teniamo stretto”.

Tra l’altro il professor Addante è al lavoro su una pubblicazione interessante: uscirà il prossimo autunno per Laterza e si chiamerà “I cannibali dei Borbone - Antropofagia e politica nell’Europa moderna”. “Nel libro - racconta - cerco di dimostrare che è davvero malriposta questa passione patriottica, nei confronti dei briganti, che erano nella stragrande maggioranza, se non nella totalità, dei criminali. È come se tra 100 anni noi leggessimo del patriota Totò Riina, del patriota Provenzano, eccetera”.

Le strade verso la conoscenza e la comprensione

Museo Lombroso

Ovviamente per comprendere meglio il Museo Lombroso, andrebbe visitato il Museo Lombroso. Tanto più che fino al 30 giugno è ospitata la mostra “Face to face - L’arte contro il pregiudizio” di Davide Dutto, che si propone di far comprendere ai fruitori i meccanismi del pregiudizio e quindi anche del razzismo, del classismo, della misoginia e simili.

Ma intanto che si programma una visita alla struttura torinese, si può pensare di approfondire l’argomento. Una lettura interessante è sicuramente “Lombroso e il brigante - Storia di un cranio conteso” di Maria Teresa Milicia, che smonta con rigore accademico tutte le bugie e le inesattezze relative al “non brigante” Villella. Ma non mancano le pubblicazioni che restituiscono la verità storiografica alle vicende collegate a Lombroso, pur essendo estremamente pop.

Una di queste pubblicazioni è “Lombroso” di Stefano Bessoni, illustratore e regista. Lombroso è un’illustratissima biografia, in cui vengono ripercorse passo dopo passo la storia personale e la ricerca dello scienziato ottocentesco, che vengono narrate sotto forma di brevi episodi accompagnati da immagini suggestive. Si tratta di un libro che in realtà si acquista proprio per le meravigliose illustrazioni, ma alla fine si resta per scoprire le considerazioni di Bessoni su Lombroso: anche se l’autore non è un accademico, scrive delle considerazioni comprensibili e apprezzabili.

Cesare Lombroso - scrive Bessoni a conclusione del suo volume - è parte integrante della storia della cultura italiane e le sue teorie ci permettono di capire come la scienza si evolve continuamente e progredisca anche grazie agli errori. Cancellando la memoria non si pone rimedio a un’ingiustizia avvenuta in un'epoca in cui si credeva ciecamente alla scienza e nel progresso e la diversità suscitava sgomento e ostilità. L'oblio rischia piuttosto di permettere all'ingiustizia di affermarsi ciclicamente, beffandosi di quanto avvenuto in passato”.

Illustrazione, fumetti, cultura e divulgazione

pop quindi potrebbero fare bene alla causa della Storia. “Possono aiutare questo tipo di pubblicazioni - conclude Addante - L’importante è che ci siano dati reali per contrastare le panzane che appaiono su Facebook”.

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