Merkel, Renzi, Hollande da suonatori a suonati

I tre leader crollano tra profughi e austerità. Il premier Renzi continua a dar retta alla Cancelliera bocciata pure dai suoi elettori. Assurda la volontà italiana di non ridurre il deficit e la pretesa tedesca di rispettare i patti

Merkel, Renzi, Hollande da suonatori a suonati

Il semiasse non regge. Merkel e Renzi si sono ben guardati dall'evocare l'immagine dell'asse, che porta ampiamente sfortuna, ma con ripetuti incontri, conditi con le solite parole di circostanza (quando mai s'è visto un governante che, di un collega democraticamente eletto, dica: sta facendo riforme di schifo?!), hanno provato a mettere in scena una semi-intesa. Dal Mecklemburgo-Pomerania alla Cina, però, si vede che non regge.

Laddove servono scelte nette, quel semiasse può produrre solo non scelte. Merkel può far finta di restare estasiata innanzi al Jobs Act, ma ricorda che le riforme Hartz furono quattro e le fece Schröder, che proprio lei batté alle elezioni. Renzi può mostrarsi commosso per la solidarietà tedesca innanzi al terremoto, ma la sola cosa arrivata è la promessa di costruzione di una scuola, manco fossimo un Paese in via di sviluppo. Il semiasse pretende di tenere assieme la supplica italiana di non dovere veramente ridurre il deficit e il debito e la pretesa tedesca che i patti sottoscritti siano rispettati. Laddove servirebbe l'opposto: seri tagli alla spesa corrente improduttiva e abbattimenti del debito, contemporaneamente creandone di federale per spingere gli investimenti. Scelte serie metterebbero in grave imbarazzo sia il governo tedesco che quello italiano, sicché si rimanda, lasciando che la sola politica economica esistente la faccia la Banca centrale europea.

Al G20 l'Unione europea sarebbe la zona più ricca e sviluppata, ma si presenta frammentata e rappresentata da nani ininfluenti. Chiede aiuto sull'immigrazione. I ricchi e forti chiedono aiuto. Ma a chi? Agli Usa, la cui storia depone all'opposto dell'Europa e la cui politica di frontiera è assai più dura della nostra? Alla Cina, che ha annesso aree esterne e solo di recente ha consentito che i propri cittadini si spostino liberamente all'interno del Paese? A chi? Scegliere significa avere una sola politica di frontiera, redistribuendo i profughi e facendo entrare solo gli immigrati di cui c'è bisogno. Ma il semiasse non può dirlo, perché la Germania ha improvvidamente provato a usare i profughi siriani come immigrati economici e l'Italia non sa distinguere gli uni dagli altri, buttando fuori i clandestini.

Intanto Usa e Cina chiudono accordi che vanno sotto il titolo del clima, ma hanno contenuti economici, mentre in Europa c'è chi ghigna per la tafazzata di avere proclamato morto il Trattato di libero scambio Atlantico (Ttip). Il tutto in un'inerzia che, per paura delle crescenti forze eurocritiche, finisce con il fornire loro buoni argomenti. Splende come il sole l'evidenza che i muri, commerciali e frontalieri, non risolveranno uno solo dei nostri problemi, creandone di altri e più gravi, ma le nuvole della paura e le tenebre del rinvio oscurano anche la luce stellare.

Il semiasse prova a guadagnare il tempo che porta ai referendum e alle elezioni politiche, in realtà spreca quello comprato dalla Bce.

Taluno crede, o addirittura spera, che ciò conduca alla fine dell'Ue, in modo da tornare a un passato che non è mai esistito e che, per quel che è esistito, fa orrore. Credo, invece, che si dovranno fare le cose oggi rinviate quando sarà più difficile e costoso. E questa, sia chiaro, è la versione ottimistica.

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