Mestre, prete gioca al casinò 500mila euro della parrocchia: patteggia 2 anni

Don Flavio Gobbo, di Mestre, ha patteggiato due anni. Il sacerdote ha già accettato di seguire un percorso di cura contro la ludopatia

Mestre, prete gioca al casinò 500mila euro della parrocchia: patteggia 2 anni

Un prete di Mestre, a Venezia, ha patteggiato due anni di reclusione per appropriazione indebita dopo essersi giocato al casinò mezzo milione di euro, di proprietà della parrocchia.

Va subito detto, ancor prima di introdurre questa complessa storia, che della vicenda di don Flavio Gobbo, sacerdote presso la parrocchia di San Vito e Modesto di Spinea, non si può parlare senza menzionare una parola chiave: ludopatia. Una vera e propria patologia, un disturbo del comportamento che porta a giocare d'azzardo in modo incontrollato.

E che può avere conseguenze molto gravi, come dimostra la vicenda di don Flavio. Due anni fa il religioso aveva abbandonato la propria parrocchia, racconta il Corriere del Veneto, adducendo la necessità di prendersi un periodo di riposo. Non trascorse molto tempo, però, che emerse un ammanco dalle casse pari a qualche centinaio di milioni di euro. Dalle indagini subito avviate per rintracciare quale fine avessero fatto quei denari si è arrivati al patteggiamento, che risale alla scorsa settimana: il sacerdote se li era giocati al casinò.

In questa storia don Flavio ha sempre accettato di combattere la propria ludopatia, come ribadisce anche una nota della diocesi di Treviso: "Ha accettato sin da subito di sottoporsi a un impegnativo programma terapeutico riabilitativo in un centro specializzato per curare una forma patologica di disturbo da gioco d’azzardo. Questa patologia è molto più diffusa di quanto si possa pensare o si voglia riconoscere. Una volta riconosciuta, essa necessita di un aiuto specialistico e di un contesto umano e comunitario di supporto. Infatti, è tipico di questi disturbi negare o minimizzare il problema e illudersi di uscirne da soli".

La partecipazione ad un percorso di cura, peraltro, era stata anche posta come

condizione da parte del pm che stava seguendo le indagini, Elisabetta Spigarelli. Va peraltro detto che il sacerdote aveva intrapreso volontariamente un percorso simile anche prima della richiesta della procura trevigiana.

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