Aumentano gli arrivi di migranti attraverso il Mediterraneo Centrale, ma mutano le rotte percorse da chi vuole raggiungere l'Europa e soprattutto la composizione per nazionalità del flusso verso l'Italia: è l'ora dei bengalesi.
Secondo il quarto rapporto sul quadro di partnership con i Paesi terzi diffuso oggi a Bruxelles, gli arrivi fino al 10 giugno ammontano a 61.285 persone, in aumento del 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016. Il Mediterraneo continua a esigere un pesante tributo in vite umane: per la fine di maggio l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha registrato 1.562 morti in mare quest'anno. Ora bisognerà vedere che cosa succederà nella seconda parte dell'anno, che allo stato non è prevedibile.
Le nazionalità
Tuttavia, dietro i numeri, c'è una situazione internazionale in rapida evoluzione, a sud del Mediterraneo. Negli arrivi in Italia sono cambiate, e di molto, le nazionalità: anche se i nigeriani restano la prima (8.836 arrivati in Italia da inizio anno), i bengalesi (o bangladesi) sono diventati il secondo Paese di origine, 7.072, mentre erano la nona nazionalità nel 2015 (8mila in tutto l'anno); la terza è la Guinea.
Si registra insomma un cambiamento significativo, con un aumento relativo degli asiatici rispetto agli africani, legato principalmente, a quanto si apprende, all'attività di agenzie per l'occupazione in Bangladesh, che vendono falsi permessi per andare in Libia. Libia che viene raggiunta non attraverso il Sahara, in questo caso, ma da Dacca per via aerea a Tripoli, facendo scalo nei Paesi del Golfo o a Istanbul. Dalla Libia, poi, i bangladesi, o bengalesi, si imbarcano alla volta dell'Italia.
L'Ue, comunque, ha effettuato una missione in Bangladesh per cercare di arginare il fenomeno degli arrivi in Libia (e da qui in Italia). Gli eritrei, che erano la seconda nazionalità l'anno scorso, con 20mila arrivi, quest'anno sono 2.300 e sono la nona nazionalità.
Le rotte
Le rotte migratorie mutano spesso e a volte sono creative: è successo, per esempio, che dei siriani siano arrivati a Lisbona dalla Siria, ma passando per l'Angola, nell'Africa australe, che, in quanto ex colonia, ha rapporti privilegiati con il Portogallo. Erano diretti in Germania, ma sono stati fermati nella capitale lusitana e hanno chiesto asilo lì, causando un picco nei dati relativi ai siriani in Portogallo.
Oppure c'era la famosa rotta artica, con il passaggio dalla Russia alla Norvegia, frontiera che non può essere attraversata a piedi, e che quindi veniva valicata dai migranti in bicicletta. Quando la Norvegia l'ha chiusa, è passata in Finlandia, dove il governo ha poi fatto un accordo con la Russia per chiudere i due valichi di frontiera lapponi.
Gli eritrei percorrono un'altra rotta: i confini tra Egitto e Libia ed Egitto e Sudan non hanno nulla a che vedere con l'azione dell'Ue e probabilmente quella frontiera, per altri motivi, è diventata meno porosa. Occorrerà vedere però se il trend continuerà. In ogni caso, questo crea un problema all'Italia per i ricollocamenti: gli eritrei sono eligibili per la relocation, mentre i bengalesi no, perché non hanno un tasso di accettazione delle richieste d'asilo superiore al 75%.
Insomma, è in corso un cambiamento significativo nelle rotte migratorie: come questo si tradurrà sugli arrivi in Italia, lo si vedrà l'anno prossimo. Quello che l'Ue sta facendo è mettere in contatto gli hotspot nel sud Italia con una piattaforma di informazione e di scambio di informazioni con le autorità nigerine a Niamey, capitale del Niger. In questo modo, se dagli arrivi in Italia si sa che il flusso in arrivo è transitato da quelle città, si può adattare l'azione in Niger di conseguenza. Uno dei fenomeni che preoccupa di più le autorità europee è però la deviazione delle rotte migratorie verso altri Paesi, diversi dal Niger.
Si osserva un incremento dei transiti attraverso il Mali, sulla frontiera maliano-algerina e sul fronte spagnolo, passando per l'Algeria, verso l'Andalusia: i numeri sono ancora bassi, ma danno l'idea che qualcosa sta succedendo. Tuttavia, le situazioni dei singoli Paesi sono diverse: mentre il Niger, pur essendo un Paese piuttosto povero, ha istituzioni abbastanza forti, in Mali la situazione è diversa, molto più complicata.
I rimpatri
Il governo nigerino si è tuttavia preso una responsabilità grande, chiudendo un traffico che sostentava anche in parte le popolazioni locali. E i rimpatri volontari assistiti da Agadez, nel nord del Niger, hanno registrato un aumento significativo negli ultimi mesi. Il risultato, però, è che ora si prevede un crollo dei rimpatri da Agadez, poiché i migranti tendono a non passare più per quella città, proprio perché il meccanismo dei rimpatri dal Niger sta iniziando a funzionare.
La vecchia rotta migratoria era quella che da Agadez, in Niger, porta a Sebha, un'importante città della Libia centro-meridionale (passando per l'Algeria sono 2.340 km, secondo Google Maps, che non dà opzioni, neanche a piedi, per andare direttamente dal Niger alla Libia, perché è tutto deserto). I flussi di migranti nel Sahara insomma si stanno spostando, per aggirare Agadez, dove l'azione dell'Ue inizia a produrre risultati.
Si registrano più spostamenti attraverso l'Algeria, o verso la Libia o verso le coste andaluse, dove però i numeri sono ancora ridotti. L'area più problematica, e sulla quale si concentrano le attenzioni dell'Ue, è il triangolo di territorio al confine tra Niger, Algeria e Libia, una delle zone più problematiche dell'intero continente africano.
Il problema è che, allontanandosi da Agadez, le rotte migratorie diventano anche più pericolose: nel deserto basta poco per morire di stenti e i trafficanti spesso non si fanno scrupoli ad abbandonare persone in mezzo al Sahara.
I Paesi Ue interessati ai fenomeni migratori stanno costruendo una rete diplomatica, aprendo ambasciate: in questi Paesi i francesi hanno la presenza maggiore e le delegazioni dell'Ue fungono da antenne per molti Paesi membri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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