Il ministro baro che non distingue fra banche e slot

A Di Maio non è bastato apprendere che il Paese è ormai arrivato sull'orlo della recessione: ecco perché è pericoloso

Il ministro baro che non distingue fra banche e slot

A Luigi Di Maio non è bastato apprendere che il Paese è arrivato in pochi mesi sull'orlo della recessione, come si è saputo venerdì scorso. Né gli è servito leggere che consumi delle famiglie e investimenti delle imprese si sono fermati proprio per la manovra del governo, che ha dispensato ansia e sfiducia in abbondanza. Imperturbabile, il vice premier ha ieri esultato per l'azione del suo esecutivo in economia. E sul Blog delle Stelle ha scritto che ci sono «buone notizie per i piccoli imprenditori!», che d'ora in poi pagheranno meno tasse. Mentre per banche, assicurazioni e gioco d'azzardo la festa è finita: chi ha sempre contribuito poco alla fiscalità è finalmente servito, ha detto.

Quindi abbiamo scoperto che per Di Maio affidare i risparmi a una banca o metterli in una polizza vita è come inserire monetine in una slot. Azzardo puro. Da punire perché dà dipendenza. Peccato che, per citare proprio le piccole e medie imprese, più del 65% di loro utilizza le banche per finanziarsi; mentre, di fronte alle criticità previdenziali, il ricorso alle assicurazioni diventa sempre più auspicabile. Ma, evidentemente, al leader pentastellato fa comodo evocare nello stesso pentolone i mostri più odiati dal suo elettorato senza alcun senso di responsabilità di governo. Come ci ha detto tempo fa il capo della finanza di una grande banca, «se al panettiere aumenti il prezzo della farina, un minuto dopo lui aumenterà quello del pane». E lo stesso faranno banche e compagnie. Così che il conto finale lo pagheranno proprio i piccoli imprenditori, per i quali il credito costerà di più; e i clienti delle assicurazioni, che avranno rendimenti più bassi o costi più alti per l'auto. Non resterà che comprarsi un Gratta & Vinci. Ironia della sorte.

Posto che il riequilibrio della fiscalità è una buona cosa, il punto non è entrare nel merito. Quello che è inaccettabile, per chi governa, è presentare i provvedimenti per quello che non sono. Senza sensibilità per ciò che sta accadendo nel Paese, che Di Maio non sa vedere o non vuole accettare. Non pago del -0,1% del Pil nel terzo trimestre, Giggino fa finta di niente e parla di «buone notizie» con punto esclamativo. E di «rivoluzione fiscale» per la miseria di 470 milioni di minori tasse sulle Pmi. Non gli basta quello che gli sta intorno: risparmiatori paralizzati che tengono 1.500 miliardi sui depositi e non consumano; imprese che non investono e non ordinano.

Non gli basta sapere che domani a Torino per la prima volta parleranno insieme di crescita Confindustria e commercianti, Legacoop ed esercenti, agricoltori e costruttori. Grandi e piccoli, tutti uniti. Non gli basta perché non gli piace. E non gli conviene. E perché, in definitiva, il Paese che vuole governare non gli interessa.

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