Giulio Andreotti non è mai stato presidente della Repubblica. Eppure, in almeno una circostanza, il principale esponente della Prima Repubblica ci è andato vicino. Attraverso questa intervista, il figlio Stefano racconta il rapporto che il padre ha avuto con l'istituto del capo di Stato ma non solo. Tra "diari segreti", ultime battaglie politiche e retroscena su Mario Draghi, viene fuori un ritratto completo di un uomo che ha fatto la storia d'Italia.
Come mai suo padre non è mai riuscito a diventare presidente della Repubblica?
"Ci sono due aspetti. Una volta - da quello che mi ha raccontato lui e da quello che mi hanno raccontato le persone che gli stavano vicino - il suo staff, per qualche ora, ha pensato che stesse per essere eletto. Era sera: l'entourage di mio padre era convinto che Andreotti stesse per diventare capo di Stato. Un convincimento che non ha avuto la durata di una giornata. Lei saprà della rivalità dell'epoca con Forlani... . Le cose poi cambiarono: i socialisti avrebbero deciso di non appoggiarlo. Mi riferisco al 1992, l'anno in cui è stato eletto Oscar Luigi Scalfaro ed in cui c'è stato il tragico attentato al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie ed alla sua scorta. Però c'è un'altra questione: il ruolo di presidente della Repubblica, per mio padre, non rappresentava la massima aspirazione di lavoro. Mio padre ha sempre amato il contatto quotidiano con la gente, oltre che un lavoro che lo portasse spessissimo all'estero. Chiudersi in una sorta di casa dorata non era il massimo delle sue aspirazioni. Le volte in cui mio padre si è sentito gratificato combaciano con quelle in cui ha potuto occuparsi di Esteri".
Nel 2006, però, ha tentato un'altra cavalcata: quella per la presidenza del Senato..
"Sì, poi venne eletto Franco Marini. Credo abbia influito un po' di vanità. Aveva già aderito a Democrazia europea di Sergio D'Antoni, un movimento che poi non avrebbe portato da nessuna parte o quasi. Lui voleva sentirsi giovane. Pure perché veniva da un lunghissimo periodo processuale. Dopo tutte le gratificazioni e cariche ottenute nel corso della vita, credo che non abbia pianto per non essere diventato presidente del Senato nel 2006. E lo stesso vale per non essere diventato presidente della Repubblica".
Le faccio quattro nomi: Andreotti, Craxi, Berlusconi e Renzi. Ogni volta che si avvicina l'elezione del capo di Stato, partono i "veleni". Un modus operandi che continua ai giorni nostri..
"Si tratta di una modalità che l'Italia ha imparato a conoscere all'inizio degli anni novanta, con Craxi come esponente maggiore ma, insieme a lui, tutta la schiera delle persone coinvolte in Tangentopoli. E, nello stesso periodo, con mio padre ed i suoi tanti processi. Abbiamo iniziato ai tempi. E mi pare che quel modo di procedere stia continuando anche adesso, con un massacro terribile. Per carità: in alcuni casi ci sarà stato anche qualcosa dietro ma, per la maggior parte delle volte, mi pare che dopo non si sia scoperto niente di che. Vale anche per Berlusconi, con tutta quelle storia delle olgettine: mi sembra che la questione sia davvero tirata per i capelli. E mi pare che lo stesso trattamento stiano subendo Renzi e famiglia".
Qual è stato il presidente della Repubblica con cui suo padre ha avuto un rapporto migliore?
"Le dirò... . Il presidente della Repubblica con cui mio padre ha avuto un rapporto migliore è stato Sandro Pertini, nonostante quest'ultimo non fosse democristiano. Pertini era anche di una generazione precedente ma, mentre questi era presidente della Camera, alla fine degli anni sessanta, mio padre era capogruppo a Montecitorio della Dc. Quindi mio padre aveva avuto occasione quotidiana d'interfacciarsi con Pertini. Un rapporto che si è poi cementato negli anni. Quando mio padre, all'inizio degli anni ottanta, è divenuto ministro degli Esteri, Pertini era il capo di Stato. E in quel periodo hanno condiviso tantissime scelte: qualcosa di straordinario. Le sottolineo l'affetto reciproco che provavano queste due figure. Poi mio padre ha avuto rapporti con più o meno tutti gli altri presidenti. Tenga conto che la famiglia è sempre rimasta fuori dalla politica: mio padre voleva che fosse così. Ma tra i pochi politici che ho conosciuto perché veniva a trovarci a casa, anche in quella dove andavamo in montagna, è stato Francesco Cossiga. Poi mio padre aveva una grandissima stima di Mario Segni. Ma Pertini su tutti".
E con il presidente Sergio Mattarella?
"Sa, mio padre aveva avuto rapporti più intensi con il padre e con il fratello: prima con Bernardo e poi con Piersanti. Con il Mattarella presidente della Repubblica ha avuto rapporti normali, buoni. Anche se - lei sa - Mattarella ha fatto parte del novero dei ministri che si dimise per l'approvazione della Mammì. Certo non ha avuto i rapporti intensi che ha avuto con Pertini e con Cossiga".
Insomma, non esistono questi "diari segreti" per cui la Repubblica avrebbe tremato..
"Noi abbiamo pubblicato, io e mia sorella, i "Diari segreti" ed i "Diari degli anni di piombo". Il titolo del primo libro lo avevamo immaginato in un modo molto diverso. Doveva essere tipo: "Mi voglio togliere un sassolino dalla scarpa". Una delle frasi presenti nel testo. Ma l'editore ha scelto "Diari segreti". La cosa giusta sarebbe stata "Diari inediti", perché questo è vero. Bisogna anche pensare che non sono memorie: questi - mi creda - sono le note che mio padre prendeva giorno dopo giorno, perché ha iniziato durante la guerra. Quei diari non sono rielaborazioni, bensì le annotazioni e le impressioni quotidiani. Poi sui "diari segreti": mio padre ha sempre detto che, nel Paese della dietrologia su tutto, il più grande segreto è che questi grandissimi segreti non esistono. Se si leggono i diari senza essere prevenuti, di sicuro si ha una versione molto diversa rispetto a tante storie sono state raccontate. Una questione su tutti: quella dei 55 giorni di Aldo Moro, della strage di via Fani e dunque di tutte le persone che sono cadute in quel modo terribile".
Ci racconti qualcosa
"Io e mia sorella ricordiamo le preoccupazioni, l'angoscia ed il dolore di quel periodo: possiamo testimoniarli anche noi".
Lei ha detto che suo padre ha provato a salvare Aldo Moro sino all'ultimo giorno...
"Gran parte dei partiti, a cominciare dalla Dc, ma pure dal Pci e dal Partito Repubblicano, e anche da Pertini, erano tutti dell'idea che non si dovesse cedere in nulla. Questo non significa che non sia stata cercata una strada. Una strada che non significava riconoscere qualcosa di pubblico ai terroristi: negli anni, mio padre ha preso molte annotazioni, che non erano mai state rese pubbliche. Forse per rispetto di papa Paolo VI e del segretario Don Macchi. Quest'ultimo, verso le 23.30, veniva spesso da mio padre a parlare, a nome pure del pontefice, di quelle che erano le possibilità e di quello che si poteva fare in merito a Moro. C'era una strada, che è stata successivamente resa nota: il rapporto con un cappellano di un carcere milanese. Il cappellano conosceva qualcuno che a sua volta era in contatto con qualcuno tra i brigatisti. Si sarebbe trattato di un pagamento di denaro: dieci miliardi di lire che all'epoca era una cifra considerevole. E mio padre diceva: "O noi o il Vaticano, in qualche modo, li riusciremo a tirare fuori". Quindi il fatto che il Vaticano avesse tirato fuori quei soldi non è del tutto esatto. E poi c'è la descrizione di questi rapporti e di una, non dico certezza perché sarebbe stata una follia, ma di una vena di ottimismo che Aldo Moro potesse essere liberato. Quando il corpo di Moro è stato ritrovato in via Caetani, parlando con don Macchi, si dedusse - c'è la notazione - che tra i brigatisti fossero nati due partiti: uno di Moretti, che avrebbe voluto uccidere Moro in ogni caso, e uno, quello di Morucci e della Faranda, che sarebbero stati per liberarlo. E prevalse quello di Moretti. Altrimenti loro erano quasi sicuri che quella mattina o comunque in quei giorni sarebbe stato liberato. Ci sono notazioni quotidiane in merito e c'è il grande dolore con cui poi mio padre è morto. Questo posso testimoniarlo io, con i miei occhi. Mio padre ha pianto due volte: quando è morta sua mamma, mia nonna, e quando è morto Moro. Io, quel giorno, l'ho visto distrutto".
Senta, se Andreotti fosse vivo e facesse politica, cosa combatterebbe?
"(Ride, ndr). Consideri che sono passati trent'anni. Ma penso che, rispetto alla politica di oggi, due aspetti non gli sarebbero piaciuti. Uno è la violenza verbale tra avversari. Questo elemento, nella prima Repubblica, non c'era. Mio padre ha avuto rapporti di grande cortesia e correttezza con tanti comunisti. Non dico di amicizia, ma quasi: con Pajetta aveva una frequentazione quasi quotidiana. Abbiamo delle lettere in cui sembrano degli amici veri. Si scambiavano di tutto. Con Berlinguer pure ha avuto un rapporto notevole. L'altra cosa che sicuramente non sarebbe piaciuta a mio padre sarebbe stata l'impreparazione: sia la regola del doppio mandato sia "l'uno vale uno" ormai sono naufragati. Forse qualcosa hanno capito. Mio padre studiava ogni giorno e ha iniziato con la gavetta, attaccando i manifesti di notte. Provi a dire oggi ad un giovane politico di attaccare i manifesti... ".
L'ex ministro Mannino ha associato la realpolitik di Mario Draghi a quella di suo padre. Sono due figure accostabili?
"Pensi che Mario Draghi ha avuto il primo incarico in un governo mentre mio padre era presidente del Consiglio. Noi abbiamo una lettera in cui si parla benissimo di Draghi, che poi viene nominato direttore del ministero del Tesoro. E c'è anche una fotografia che abbiamo trovato. Ne abbiamo una valanga d'immagini. Ce n'è una di un Draghi giovanissimo appoggiato alla porta, mentre mio padre incontra Carlo Azeglio Ciampi. Si tratta di una persona che ha dato tanta serenità ad un ambiente pieno di polemiche. Rispetto a mio padre, viene da un mondo molto diverso: mio padre con la finanza non andava proprio d'accordo. Di certo Draghi sta dimostrando di risolvere le cose giorno dopo giorno.
Come mio padre, che non volava mai altissimo: era abituato a non fare voli straordinari per affrontare i problemi. Ecco, sotto questo aspetto, vedo delle similitudini. E Draghi si trova a gestire una situazione non facile: da mediatore. Un po' come Giulio Andreotti".
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