Il modello italiano

È solo una constatazione. La scoperta, o meglio, la presa d'atto di un fenomeno planetario

Il modello italiano

È solo una constatazione. La scoperta, o meglio, la presa d'atto di un fenomeno planetario. Si tratta del meccanismo che sovrintende alle lotte di potere nelle autocrazie, che si è diffuso anche nelle democrazie: la liquidazione dell'avversario politico per via giudiziaria, o, più in generale, lo scontro tra politica e giustizia. Ciò che sta avvenendo in Israele sulla testa di Benjamin Netanyahu, per fare un esempio, sta capitando in altri angoli del pianeta secondo uno schema che ha visto il nostro Paese fare scuola, dato che da noi è servito per spazzare via una classe dirigente (Tangentopoli) o azzoppare un premier (Berlusconi).

In realtà, nei regimi operazioni di potere di questo segno ci sono sempre state. L'ultima condanna ad Aleksej Navalny, il principale oppositore di Putin, ammonta a 9 anni per reati estremamente generici: una non ben precisata «frode». In Cina, invece, si usa sempre l'espediente giudiziario per liquidare gli oppositori di Xi, anche se i processi vengono resi noti solo a condanna eseguita. Nelle democrazie, invece, l'uso sempre più frequente della giustizia come arma politica rappresenta una novità.

Lula in Brasile è stato fatto fuori con un processo e ora con il suo ritorno, ironia della sorte, il suo avversario Jair Bolsonaro rischia la stessa fine. Donald Trump, che ora maledice il «deep State», rischia di non poter correre per la Casa Bianca perché è sotto processo: tant'è che paventa il proprio arresto come arma mediatica per radunare i suoi fedeli. Paradossale è poi ciò che sta avvenendo in India. Rahul Gandhi non potrà partecipare alle prossime elezioni per una condanna per diffamazione: in una manifestazione avrebbe usato parole troppo forti contro l'attuale presidente Modi. Insomma, gli hanno dato due anni, ma soprattutto gli hanno impedito di candidarsi per fare il mestiere di oppositore.

Questo moltiplicarsi di esempi non può non preoccupare, sempreché non si pensi che la politica di mezzo mondo sia popolata da malfattori: se in un regime è normale che gli avversari siano fatti fuori per via giudiziaria, in democrazia lo stesso meccanismo rischia di trasformarsi in una grave patologia. Inoltre colpisce che l'Italia sia dai tempi del Machiavelli un laboratorio per la politica. Negli altri Paesi spesso si ripetono stagioni che noi abbiamo vissuto qualche anno prima. Da noi, per dire l'ultima, un comico (Grillo) è arrivato al potere ben prima di Zelensky in Ucraina.

E anche per l'uso dello strumento giudiziario in politica abbiamo un copyright almeno per le democrazie di cui certo non si può andare fieri. Anzi, da noi è una costante. Dopo Berlusconi ci hanno provato anche con Renzi e con Salvini. Ecco perché l'internazionalizzazione del fenomeno richiederebbe una riflessione, visto che lo scontro tra i poteri è un'eventualità non remota. E il fatto che il più delle volte sia sempre la politica, cioè il potere legittimato dal voto popolare, a perdere la partita, fa sorgere dubbi pure sull'essenza stessa della parola democrazia.

In Francia, dove anche Macron è oggetto di due indagini, si sono inventati il meccanismo per cui ogni iniziativa giudiziaria che riguardi il presidente (a parte reati connessi al suo ruolo) viene congelata fino alla fine del mandato proprio per mettere a riparo il voto popolare. È un'opzione che magari non convince tutti. Ma un istituto va trovato anche da noi specie se, come vorrebbe qualcuno, si arrivasse all'elezione diretta del premier o del capo dello Stato.

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