La guerra in Ucraina ha riacceso prepotentemente i riflettori sui conflitti convenzionali dopo una “vacanza”, durata un ventennio, in cui le Forze Armate occidentali (nella fattispecie quelle dei Paesi NATO), si sono concentrate sulle attività counterinsurgency e counterterrorism.
La minaccia portata dall'attività di “insorgenza” e dal terrorismo di matrice islamica ha costretto gli Stati Maggiori dell'Alleanza Atlantica a rimodulare la propria dottrina, e quindi rivedere l'assetto dello strumento militare nel suo complesso, per affrontare conflitti asimmetrici, in cui il “nemico” non era più rappresentato da un'entità di livello nazionale, con forze armate e addestrate per condurre una guerra convenzionale, ma milizie più o meno addestrate ed equipaggiate, che operavano sul territorio in modo del tutto differente rispetto al comportamento di un esercito. Che si parli di terroristi legati ad al-Qaeda, o milizie riconducibili allo Stato Islamico (IS), le operazioni erano svolte principalmente con tattiche di guerriglia – se pur non sempre per quanto riguarda l'IS – col miliziano difficilmente distinguibile dal civile, e spesso la “conquista dei cuori e delle menti” degli insorgenti, rendeva complicato, se non impossibile, distinguere il nemico dall'amico. Iraq, Afghanistan, Somalia sono stati (alcuni sono ancora) dei fronti in cui non si è combattuto in modo convenzionale.
Gli Stati Maggiori, dicevamo, si sono quindi adeguati alle contingenze, e il war fighting, la gestione di un classico conflitto, è stato un po' dimenticato “nei cassetti”. Le azioni di Cina e Russia in campo internazionale, compresa la loro corsa al riarmo (in particolare cinese), ha riportato l'attenzione sui conflitti di tipo convenzionale già da qualche anno, ma solo l'attuale guerra in Ucraina ha definitivamente messo al centro delle analisi di scenario questo tipo di operazioni.
Se si leggono i documenti programmatici della Difesa degli scorsi anni, italiano compreso, si capisce come ci sia stata una rimodulazione dello strumento militare proprio per cercare di affrontare quelle che si sono definite “nuove sfide”, che in realtà, come abbiamo detto, sono “vecchie”, in quanto ripresentano gli stessi scenari dei tempi delle Guerra Fredda, se pur con un contesto globale molto diverso – più instabile – e con armamenti diversi – le famose “tecnologie dirompenti” come le attività nel dominio cyber, spaziale, le armi ipersoniche ecc.
La Difesa italiana, al pari di altre, formula quelli che si chiamano “contingency plans”, ovvero dei piani onnicomprensivi che riguardano tutte le diverse possibilità che, di volta in volta, a seconda degli eventi, potrebbero verificarsi. Si fanno quindi analisi di scenario, che nel mondo militare prendono il nome di Course of Action (COA), raccogliendo dati ed elaborando il caso migliore, quello peggiore, e una serie di casi intermedi.
Anche la NATO, così come l'Italia, ha sicuramente preso in esame diverse possibilità, tra cui quella che il conflitto ucraino degeneri e pertanto sia costretta a entrare in azione nell'ambito della difesa collettiva. Si tratta di attività di routine, che serve, detto in poche parole, a “saper fare quello che c'è da fare nei tempi in cui va fatto”. La Difesa italiana, al pari di quella degli Alleati, sta facendo – ma sarebbe meglio dire che ha già fatto – altrettanto: l'avviso dello Stato Maggiore circolato la scorsa settimana, che ha generato un'isteria immotivata perché, come sempre accade, è stato spiegato male dai media, è il segnale che anche da noi questi piani vengono tenuti in considerazione da molto tempo in modo da avere il più vasto spettro di preparazione possibile, per poter affrontare ogni evenienza futura. Questo non significa che ci sia una mobilitazione in atto in previsione di un conflitto, significa solo che la nostra Difesa si sta preparando per affrontare ogni possibilità, che è proprio quello è chiamata a fare 365 giorni l'anno ogni anno.
Negli indirizzi strategici del nostro strumento militare, infatti, si legge, dopo “la difesa dello Stato” che è la prima missione, la “difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei” come seconda missione, e certe precauzioni, ivi compresa la formulazione di possibili scenari di impiego delle forze, anche i più improbabili, rientra proprio in quest'ultimo indirizzo.
In caso di attivazione del meccanismo di difesa collettiva NATO cosa succederebbe? Sicuramente verrebbero mobilitate le nostre brigate di punta, come la Garibaldi, la Taurinense, la Folgore e la Sassari, che da tempo – come da modernizzazione dell'esercito – sono “multiruolo”, o in gergo militare “Brigate di Manovra Pluriarma”. Significa che ogni unità (il livello brigata corrisponde a circa 5mila uomini) ha in sé reparti corazzati (con AIFV), di artiglieria, antiaerei ecc (la Sassari è l'unica tra le citate di fanteria a non avere al seguito artiglieria e cavalleria). Sicuramente l'aspetto logistico è fondamentale, come lo è sempre stato in tutti i conflitti: le guerre si vincono grazie ai rifornimenti.
La resupply chain viene quindi organizzata attentamente e altrettanto attentamente difesa, e a questo scopo le Forze Armate italiane possono disporre dei propri assetti aerei e navali di moderna concezione, insieme a quelli dell'Alleanza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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