Nessuna novità. Il Pd resta a metà strada

A sentire i discorsi, i ragionamenti, le proposte dei candidati alla segreteria del Pd alla vigilia delle primarie che si terranno domenica prossima, al di là della retorica di partito, si assiste all'apoteosi del politicamente corretto di sinistra

Nessuna novità. Il Pd resta a metà strada

A sentire i discorsi, i ragionamenti, le proposte dei candidati alla segreteria del Pd alla vigilia delle primarie che si terranno domenica prossima, al di là della retorica di partito, si assiste all'apoteosi del politicamente corretto di sinistra. Ne sono tutti affetti, anzi tutti lo omaggiano, per cui è difficile scorgere differenze, a parte i toni, tra i due nomi rimasti in campo, cioè Elly Schlein e Stefano Bonaccini. Solo che la terapia per rimettere in piedi un partito che ha perso tutte le elezioni ed è alla ricerca di una nuova identità, dovrebbe essere ben altra.

Ci sarebbe bisogno di una svolta o riformista, o di sinistra. Sicuramente di una svolta. Vera. L'ultima volta che quel partito è tornato attraente è stato con Matteo Renzi, che oltre a parlare di rottamazione, introdusse nel Pd elementi di discontinuità nella ricerca di una nuova identità. Quella cura da elefante, che determinò pure una scissione, ha provocato un rigetto nel partito per cui siamo tornati alla melina. L'obiettivo principale è restare tutti insieme. Non per nulla la figura caratterizzante di queste primarie è quella del «figliol prodigo» con il ritorno di Speranza, D'Alema e Bersani. Poi viene tutto il resto.

Siamo quindi alla logica cerchiobottista, quella caratterizzata da un passo da una parte e un altro dalla parte opposta, dalla scelta di non scegliere. Si sa che Bonaccini guarda più verso il centro, verso Calenda e Renzi. Mentre Schlein a sinistra, verso il grillismo e affini. Nessuno dei due, però, lo dice apertamente. Risultato: tutto è attutito, silenziato. Erano partiti con la suggestione di cambiare pure il nome al Pd. Ora, invece, c'è il rischio che per evitare frizioni non cambino niente. Già, siamo al festival dei bassi e non degli acuti. Ma senza acuti è difficile riconquistare il consenso perduto.

E tutto perché aleggia lo spettro della scissione, delle divisioni. Un'ipotesi che va scongiurata al costo di rimanere muti. Torna in voga nelle parole della Schlein e di Bonaccini il verbo di Veltroni. Il paradosso, però, è che il Pd «unito» ha governato diversi anni ma non ha mai vinto un'elezione. Mentre all'epoca in cui esistevano Ds e Margherita divisi ma insieme nell'Ulivo, il centro-sinistra di elezioni ne ha vinte, anche se di poco, due.

Magari qualcuno può interpretare questo esempio alla stregua di una provocazione. Può usare la scorciatoia per dire che erano altri tempi. Ma è la storia, e la storia non si cambia.

E in fondo in politica due partiti, uno di sinistra e uno di centro legati da un sodalizio, magari hanno una capacità di rappresentanza superiore ad un «unicum» che punta solo a preservare un nome e ad evitare una scissione. Solo che per avviare un confronto franco, per darsi davvero una nuova identità che punti in alto e non declini verso il basso per amor di compromesso, ci vuole coraggio. Quello che manca da molto tempo al Pd.

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