Nigeriano condannato per schiavitù. Ma il Comune deve trovargli casa

Il nigeriano condannato per schaiavitù è ai domiciliari per "condizioni di salute non compatibili con il regime detentivo". Dopo lo sfratto, la richiesta di una casa al sindaco

Nigeriano condannato per schiavitù. Ma il Comune deve trovargli casa

Partiamo dall'elencare i protagonisti. Un nigeriano, condannato a 12 anni di carcere per aver ridotto in schiavitù una ragazza; il sindaco di un piccolo Comune come Castorano, Daniel Claudio Ficcadenti; e i Tribunali, fatti di giudici, leggi e ingarbugliate decisioni. Ebbene: alll'uomo che avrebbe dovuto scontare la sua pena, che dovrebbe essere espulso dall'Italia, è stato mandato ai domiciliari a causa delle sue condizioni di salute e ora, trovandosi sotto sfratto, il Comune è costretto a trovargli una casa.

Era il 2015 quando la Corte di Assise dell'Aquila condannò il nigeriano, insieme ad altri, a 12 anni di carcere con l'accusa di "riduzione in schiavitù, violazione delle legge sull’aborto e favoreggiamento della prostituzione". A ricostruire per filo e per segno, e con dovizia di particolari, questa incredibile vicenda sono le CronachePicene.it. La vittima dello sfruttamento era un giovane connazionale, costretta a prostituirsi. La ragazza poi morì. Il nigeriano venne "assolto e non condannato per il reato di morte come conseguenza di altro reato", come da notare il suo avvocato, "perché il fatto non sussiste". Restarono, però, i 12 anni di reclusione per un crimine di certo non indifferente come quello di riduzione in schiavitù.

A dire il vero in carcere il nigeriano c'è rimasto poco. A dicembre 2016 era già riuscito a ottenere i domiciliari perché "in condizioni di salute non compatibili con il regime detentivo". Secondo quanto spiegato dall'avvocato, "in carcere ha subito un infortunio diventando cieco assoluto da entrambi gli occhi e per questo, il tribunale di sorveglianza dell’Aquila ne ha ordinato la sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p., disponendo la detenzione domiciliare. È stato ritenuto che la patologia di cui è affetto implichi nel suo complesso, una sofferenza aggiuntiva a quella derivante dalle restrizioni tipiche dell’esecuzione della pena, di entità tale da rendere l’espiazione intramuraria contraria al senso di umanità". Bene.

Il fatto è che una volta uscito dal carcere, l'Uepe di Macerata - scrive Cronachepicene.it - chiede al sindaco di inserirlo nel nucleo familiare di una donna (che lui dice essere sua convivente) con due figli minorenni. Secondo il sindaco Ficcadenti, però, nello stato di famiglia non è compreso il 30enne. Interviene allora il tribunale dei minori per affidare i bambini ai servizi sociali, visto che la donna nel frattempo rischia lo sfratto. E mentre le vicende e le pratiche burocratiche giudiziarie si incrociano, il 27 gennaio 2018 il nigeriano si sposa con la donna.

Sei mesi dopo, siamo al 17 maggio - scrive il quotidiano locale - "l’Uepe di Macerata comunica allo stesso sindaco l’autorizzazione dell’Ufficio di sorveglianza con la quale il personale dei servizi sociali può recarsi nell’abitazione del detenuto per l’educativa domiciliare, come prescritto dal Tribunale dei minorenni". Nel frattempo, però, gli avvocati del nigeriano fanno sapere che il condannato e la donna versano in difficoltà economiche e chiedono dunque al sindaco di trovare una casa per evitare di farli rimanere senza un tetto il prossimo 12 giugno quando, in teoria, lo sfratto dovrebbe diventare esecutivo.

Risultato: il sindaco ora dovrà trovare una sistemazione al nigeriano. Il quale, peraltro, a fine pena dovrebbe essere raggiunto pure da un ordine di espulsione dal Belpaese. Ficcadenti non l'ha presa bene: "È inammissibile - ha detto - che un Tribunale emetta un provvedimento di detenzione domiciliare nei confronti di una persona condannata a 12 anni di carcere per reati gravi, che deve scontarne altri sette, che è stata espulsa dall’Italia e privata della potestà genitoriale, inserendola in un contesto di un nucleo familiare in gravi difficoltà economiche, con due minorenni e senza un alloggio". Sul caso è intervenuta anche la Lega, che non ha fatto mancare il suo appoggio al primo cittadino. "Il nostro paese deve mantenere coloro che si sono macchiati di delitti come la riduzione in schiavitù, esercizio della prostituzione, violazione sulle norme per l’interruzione della gravidanza e garantire anche il diritto di abitazione ai pregiudicati per giunta irregolari - attaccano la deputata Giorgia Latini e il commissario provinciale Massimiliano Castagna in una nota - Questo non è uno Stato che determina la pena severa per i criminali, anzi incentiva il reo". E nel chiedere "certezza della pena", aggiungono: "Il sindaco è stato intimato dai legali del nigeriano di provvedere quanto prima a trovargli una casa popolare, che però il primo cittadino non ha a disposizione.

Il paradosso è che il Comune sarà costretto, se non si riuscisse a trovare la casa, a provvedere al mantenimento dei figli, pagando per questo servizio annualmente 75.000 euro. Lo sdegno è enorme se si pensa che la stessa cifra è spesa per i servizi sociali complessivi della comunità di Castorano".

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