Caro direttore,
leggo con sconcerto gli aggettivi con cui si cerca di promuovere la nascita di un gruppo-cuscinetto a sostegno del governo di Giuseppe Conte alla Camera e al Senato e, in prospettiva, di un «partito del premier». Popolari. Patrioti. Come se bastasse un nome per modificare la natura dell'operazione, che ai miei occhi è un rammendo occasionale e frettoloso di una maggioranza senza più ossigeno né prospettiva che non sia quella di arrivare al semestre bianco.
Rubare questi due aggettivi, incardinati da una decennale tradizione al mondo dei moderati e del centrodestra (non certo ai savonarola del M5S o alle fondamenta internazionaliste della sinistra), rappresenterebbe un «furto di senso», l'ultimo imbroglio di una politica senza radici che si appropria di quelle altrui per gettare fumo negli occhi degli italiani.
Tuttavia, caro direttore, quelle due parole popolari, patrioti siamo noi a doverle difendere, interpretandole con passione e rigore, per evitare che ce le scippino. Sono parole nostre, ma troppo spesso negli ultimi tempi le abbiamo dimenticate insieme al loro sottotesto: il rifiuto dell'estremismo, la ricerca del bene comune oltre l'ossessione di distruggere «il nemico», il rifiuto della logica del «tanto peggio tanto meglio» che porta a tifare per il collasso del Paese nella speranza di trarne vantaggio.
Non so come possiamo riappropriarci di quei termini. So (me lo dicono, tra l'altro, anche i sondaggi) che da quando il presidente Berlusconi ha rilanciato l'identità centrista, popolare e patriottica, facendola uscire dal cono d'ombra in cui era sparita, le cose vanno meglio. E sono convinta che il Paese, nella drammatica tempesta sanitaria ed economica del Covid, abbia bisogno di punti di riferimento solidi, che costruiscano credibili percorsi di ripresa e salvezza.
Il centrodestra ha, sulla carta, un buon vantaggio sulle attuali forze di maggioranza. Ma dovremmo tutti essere consapevoli di due rischi. Il primo lo ha ricordato ieri Silvio Berlusconi: due mesi di campagna elettorale determinerebbero una paralisi delle decisioni politiche che l'Italia nell'emergenza non può permettersi. Il secondo riguarda il mito della «spallata»: nella storia del nostro Paese, ha prodotto solo brucianti sconfitte per chi lo ha coltivato.
Penso che tutti noi dovremmo interrogarci su come usare il nostro credito in Italia e in Europa, su come essere in questo momento cruciale, e fino in fondo «popolari e patriottici».
Eludere questa domanda significa spianare la strada a chi già immagina di sostituirci, inventando un nuovo centro che non esiste e appiccicando i «nostri» aggettivi a qualche nuova armata Brancaleone, a un partito dei Ciampolillo magari guidato da Giuseppe Conte. Pensiamoci. Prendiamo le decisioni giuste.
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