"Occasione persa", "Fuoco amico": è guerra nel fronte della Pace

Il conflitto in Ucraina riapre le ferite nel mondo dei pacifisti italiani: "Assurdo predicare la pace se prima non facciamo pace tra di noi"

"Occasione persa", "Fuoco amico": è guerra nel fronte della Pace

La pace è una cosa troppo seria per lasciarla ai pacifisti”. La battuta non è di qualche dottor Stranamore militarista ma di Mao Valpiana, memoria storica del pacifismo italiano. Presidente del Movimento Nonviolento, è uno degli organizzatori della Rete Pace e Disarmo che ha indetto la marcia di oggi a Roma delle 13.30 da Piazza della Repubblica a San Giovanni, luogo storico dei raduni di sinistra. Una manifestazione che ha diviso le anime del serpentone arcobaleno: da un lato la Cisl che si è sfilata, in disaccordo sulla condanna all’invio delle armi all’Ucraina stabilita quasi unanimamente dal Parlamento; dall’altro voci di primo piano come padre Alex Zanotelli, che all’opposto denuncia la mancanza di “riferimenti chiari” ed esporrà “un cartellone tutto suo”.

Secondo Valpiana è “tutta una fake news: è stata fatta circolare una griglia di frasi che non era nemmeno una bozza. In realtà il no alle armi all’Ucraina non è mai stato in discussione”. In una comunicazione interna di due giorni fa, il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, ha sostenuto che la manifestazione rischiava di “essere inquinata da pesanti pregiudizi e derive ideologiche che sottintendono una sostanziale equidistanza tra le parti in guerra”. Valpiana allarga le braccia: “Considero una sconfitta personale l’uscita della Cisl, dopo tutti gli sforzi fatti per tener dentro le componenti cattoliche. Ma proprio per questo la considero un’occasione persa da parte loro”. Quanto alle critiche di Zanotelli, per Valpiana si tratta di “considerazioni non all’ordine del giorno”. Esiste da sempre, aggiunge, “il fuoco amico dei duri e puri”.

Il comboniano, un mito per i pacifisti nostrani, non ci sta: “Il movimento è diviso da parecchi anni, almeno da quando è avvenuta la spaccatura fra Pace e Disarmo e il Tavolo della Pace. Con don Luigi Ciotti abbiamo fatto di tutto per ricomporla, ma ad ostacolare l’unità ci si mettono personalismi, dissensi ideologici, lotte locali”. Zanotelli denuncia con precisione “l’incoerenza fra chi dice no e chi dice sì all’invio di armamenti”, che equivale a “gettare benzina sul fuoco della guerra”, e trova "assurdo che predichiamo la pace se prima non facciamo pace fra noi”.

Cerca di smorzare la polemica Flavio Lotti, coordinatore del Tavolo della Pace al quale si deve l’ormai abituale marcia omonima da Perugia ad Assisi. “Non c’è mai stato un solo movimento, semmai c’è sempre stata pluralità”, puntualizza un po’ seccato. Ma subito sottolinea che “è una sciocchezza pensare debba esserci un comitato centrale che decida una linea unica”. E rivendica: “Noi il 10 ottobre scorso abbiamo sfilato ad Assisi nel menefreghismo di molti. Un conto è la differenza di approcci, un altro è la frammentazione, cioè far prevalere il proprio punto di vista e basta. Non posso che applaudire alla manifestazione di domani, sperando che sempre più punti di vista si facciano sentire”.

La discussione interna al variegatissimo puzzle di sigle pacifiste viene dopo un periodo di stanca, pur nel lavoro più o meno sottotraccia rispetto ai riflettori dei media. La ricercatrice dell’ateneo di Perugia Romina Perni, assieme al giornalista Roberto Vicaretti, ci ha dedicato un libro, significativamente intitolato “Non c’è pace” (2020): “Rispetto ai primi anni 2000, il mondo del pacifismo in Italia ha subìto un ridimensionamento”, sostiene. I motivi, secondo Perni, sono principalmente tre: “Il terrorismo, che ha cambiato la percezione del nemico e della conflittualità bellica; la crisi economica, che ha sconvolto l’agenda di priorità; infine, i soggetti politici di sinistra, che hanno mostrato meno attenzione alla questione della pace, considerata come un valore immateriale quando invece sottintende un intero sistema di sviluppo basato sulle disuguaglianze”. L’attività, di conseguenza, da politica è diventata “più sociale e culturale”. Valpiana conferma: “Rispetto al pacifismo diciamo ideologico di un tempo, già dagli anni Novanta ha assunto una fisionomia legata anche al soccorso umanitario. Ma abbiamo continuato a produrre documenti, analisi e proposte di legge”. Può aver influito anche una sensibilità diversa per guerre in cui le vittime appartenevano a popoli con regimi o formazioni di guerriglia considerati il Male, come i siriani fedeli ad Assad o i talebani. Valpiana nega: “Non è vero, è che ci sono situazioni più difficili da spiegare all’opinione pubblica”.

La tragedia in Ucraina pone un dilemma politico per chi si schiera idealmente contro ogni guerra: come tradurre in concreto l’aiuto al popolo ucraino? Zanotelli non ha dubbi: “La base di partenza per mettere intorno a un tavolo i contendenti è la neutralità dell’Ucraina”. Per Valpiana, a fare da paciere dovrebbero essere “l’Onu ma anche il Vaticano e la Cina”. Lotti chiama in causa l’Unione europea: “Manifestare oggi dovrebbe servire a far cambiare impostazione all’Europa, che dovrebbe diventare parte terza”. Il problema è come porsi di fronte alla dittatura di Vladimir Putin. “Qui c’è un aggressore e un aggredito”, dice Valpiana per spazzar via ogni ambiguità, “il resto sono considerazioni geopolitiche non c’entrano con l’immediato”. E invece proprio da queste bisognerebbe partire ad avviso di Lotti: “La premessa dovrebbe essere che la Nato, guidata dagli Usa, accetti il fatto che la Russia deve avere un ruolo nella sicurezza comune. L’Ucraina è solo la vittima finita in mezzo al gigantesco, irrisolto problema del riordino strategico globale”.

Resta il fatto che la posizione “né con la Nato né con la Russia” può prestarsi a equivoci. “Gli ucraini hanno tutto il diritto di difendersi come meglio credono”, replica Valpiana, “ma ci sono modi alternativi all’uso delle armi: i disertori di entrambi le parti, ad esempio, già lo dimostrano, così come la resistenza civile degli ucraini che scappano”. Lecito far osservare che così si spiana la strada alla resa di fatto all’esercito russo. “Si può fare poco, è vero, ma quel che è sicuro è che intraprendere la via militare, fra l’altro comoda e ipocrita di mandare armi senza truppe sul campo, ci porta al baratro, al punto di non ritorno”. Zanotelli, è il caso di dirlo, non si dà pace: “Una pazzia collettiva e un cinismo puro, ecco dove siamo arrivati. L’anno scorso l’Italia finanziava già con 30 miliardi le spese militari, adesso il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che io chiamo ministro della Guerra, ne ha aggiunti altri tre. Ma sono vent’anni che vendiamo armi all’Arabia Saudita per la guerra in Yemen, e il risultato è stato il disastro”.

C’è chi, come lo storico dell’arte e opinionista molto seguito a sinistra come Tomaso Montanari, pensa che l’obiettivo finale debba consistere nel rovesciare il regime putiniano. Il che rimanda alla corrente di pensiero secondo cui saremmo già dentro uno scontro di civiltà tra democrazia e autocrazia. Lotti dissente nettamente: “Non possiamo pensare di scalzare Putin, perché non ne abbiamo il potere. Non c’è dubbio che siamo contro il suo regime, ma fargli la guerra significa andare verso la guerra mondiale con una potenza nucleare. Non si capisce perché ora debba essere diventato pazzo mentre fino a non molto tempo fa c’era chi ipotizzava perfino l’ingresso della Russia nella Nato”. Per molto meno, facciamo notare, si passa per filo-russi. “In Russia si arresta, in Italia si silenzia”, ribatte Lotti.

In piazza bisogna andare per la pace, perché non sono meno dittature quelle in Arabia Saudita o un Turchia, o no?”, è la pietra tombale di Zanotelli. Chissà se lo è anche sulle polemiche fra pacifisti senza pace.

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