Omicidio Livatino, permesso premio per il mandante

Giuseppe Montanti, mandante dell'omicidio del giudice Livatino, ha ottenuto un primo permesso nella settimana dell'anniversario. Decisiva la sentenza della Consulta sui reati ostativi

Omicidio Livatino, permesso premio per il mandante

Il 21 settembre saranno passati 30 anni dall'omicidio del giudice Rosario Livatino. E uno dei mandanti ha ottenuto un permesso premio proprio nella settimana delle commerazioni. Giuseppe Montanti, 64 anni, ha usufruito di un permesso della durata di nove ore deciso dalla magistratura di Sorveglianza di Padova. È il primo da quando nel 1999 fu condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Caltanissetta. Montanti, dopo vent'anni in regime di carcere duro, ha ottenuto il permesso anche grazie alla sentenza della Consulta di qualche mese fa sui reati ostativi e i permessi. Il 64enne durante le nove ore "premiali" ha ricevuto telefonate e incontrato familiari e amici, per poi rientrare in carcere. L'uomo venne arrestato dopo la condanna del 1999 e a seguito di un periodo di latitanza ad Acapulco, in Messico. Da febbraio 2019 partecipa a incontri con gli studenti in istituto, nell'ambito del progetto "Scuola-carcere". È quanto apprende l'Agi dalla relazione allegata al provvedimento di concessione del permesso premio da parte della magistratura di Sorveglianza di Padova. Permesso che gli era già stato negato nel 2018 quando il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha rigettato il reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Padova di rigetto dell'istanza di permesso premio.

Quel 21 settembre erano da poco passate le 8.30 del mattino e Rosario Livatino, 37 anni, a bordo della sua Ford Fiesta rossa stava andando da Canicattì, dove abitava, al tribunale di Agrigento. Quando una Fiat Uno e una motocicletta di grossa cilindrata lo hanno affiancato costringendolo a fermarsi sulla barriera di protezione della strada statale. Poi i sicari del commando mafioso hanno esploso numerosi colpi di pistola. Rosario Livatino, ferito a una spalla ha tentato di trovare una via di fuga. Sceso dalla Fiesta rossa, ha cercato scampo nella scarpata sottostante, ma è stato freddato con una scarica di colpi. Sul posto arrivarono subito i colleghi del giudice assassinato. Da Palermo l'allora procuratore aggiunto Giovanni Falcone, e da Marsala Paolo Borsellino. In base alla sentenza che ha condannato al carcere a vita sicari e mandanti, il delitto si inquadrerebbe nel contesto di una guerra di mafia tra Cosa nostra e la Stidda di Agrigento. Livatino è stato ammazzato perché "perseguiva le cosche mafiose impedendone l'attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l'espansione della mafia", si legge nella sentenza. Nella sua attività Livatino si era occupato anche di quella che sarebbe esplosa come la "Tangentopoli siciliana" ee era andato a colpire la mafia di Porto Empedocle e di Palma di Montechiaro, soprattutto attraverso la confisca dei beni.

La notizia del permesso premio concesso a uno dei sicari del giudice, di cui è in corso il processo di beatificazione avviato nel settembre 2011, solleva "un problema di coscienza". A dirlo è Enzo Gallo, giornalista, componente dell'associazione "Amici di Livatino" e cugino del magistrato ucciso dalla mafia. "La concessione del permesso premio è un suo diritto e, quindi, non c'è nulla da obiettare. In ogni caso, senza voler polemizzare, bisogna avviare una riflessione perchè c'è un problema pure di coscienza. Montanti dopo 20 anni passati in carcere con un comportamento pare esemplare può godere di questo premio. Lo prevede la legge e quindi è un suo diritto. Per dirla come la vittima, cioè il dottor Rosario Livatino: 'dura lex, sed lex'. Però è forse un segnale che di questa concessione di beneficio si stia avendo notizia solo oggi, a meno di una settimana dal trentennale del vile e barbaro omicidio mafioso". Un omicidio per il quale Montanti non ha mai confessato. Non solo. Una nota del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria risalente al 30 aprile 2019 evidenza che "non ha mai collaborato e conclude che non si può escludere eventuale ulteriore collegamento con ambienti devianti esterni".

Il magistrato di Sorveglianza di Padova ha anche chiesto parere alla Questura di Agrigento che ha messo nero su bianco (il 27 gennaio 2020) come l'organizzazione di Montanti, la Stidda, sia "sul piano organizzativo non del tutto disarticolata e tutt'ora operante nel territorio di Agrigento".

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