Gli orrori nazisti e la differenza fra assoluzione e perdono

Caro direttore, conosco Auschwitz, ho regalato (rinunciando ai diritti d'autore) la mia Conversazione con Primo Levi alle Edizioni del Museo di Auschwitz, che la vendono a basso prezzo ai visitatori

Gli orrori nazisti e la differenza fra assoluzione e perdono

Caro direttore, conosco Auschwitz, ho regalato (rinunciando ai diritti d'autore) la mia Conversazione con Primo Levi alle Edizioni del Museo di Auschwitz, che la vendono a basso prezzo ai visitatori. Ogni volta che andavo a Varsavia mi facevano parlare anche a Cracovia, che ha una bellissima università, e da Cracovia, per farmi piacere, mi portavano in auto ad Auschwitz, che dista pochi chilometri. È come visitare l'Inferno. Non ci torno più.

Scrivo queste cose per liberarmene. Ma so bene che è un problema mio. Di recente un fatto pubblico mi ha di nuovo interrogato. Si può perdonare Auschwitz? A domanda - è successo nei giorni scorsi - Liliana Segre ha risposto, come sempre, di no, lei non ce la fa, non può né perdonare né dimenticare. E le due cose son collegate. Primo Levi, parlando del comandante di Auschwitz che alla fine della guerra fu impiccato, apre una parentesi e dice: «E ciò fu giusto». Dunque è stato giusto impiccarlo. Levi non era favorevole all'inserimento della condanna a morte nel codice penale, ma per i comandanti dei lager sì. Lo capisco. Il Male che si chiama Sterminio fu commesso come «intenzionalmente» imperdonabile: chi ha fatto quel male voleva che quel male fosse così enorme da risultare incredibile, quindi inaccettabile, quindi inesistente. Impossibile a dirsi, impossibile ad ascoltarsi. Impossibile da perdonare.

Se chi mi legge ha visto Auschwitz 1, il campo-madre, avrà presente la collinetta che sta a monte della Piazza dell'Appello: da lì si poteva guardare tutta la massa dei prigionieri e fare la conta, accertarsi che nessuno fosse scappato. A destra stanno i forni. Sul cocuzzolo di questa collinetta sorge adesso una forca, con il gancio per il nodo scorsoio ad angolo acutissimo, come i ganci dei macellai. Lì fu impiccato il comandante del lager. Quello è il punto esatto da cui aveva esercitato il suo potere. Era un bavarese, si chiamava Rudolf Höss, cattolico. Condannato a morte, non contestò la condanna, non chiese la grazia, ma chiese un'altra cosa: di confessarsi. Gli fu concessa. Era in mano di inglesi e di polacchi, gli inglesi non volevano sentir parlare di un rinvio dell'esecuzione, ma i polacchi erano più sensibili. Si misero dunque a cercare un prete cattolico disposto a confessare il comandante di Auschwitz. Non fu facile trovarlo. Il soprannome del comandante di Auschwitz era «l'Animale», lui personalmente aveva diretto l'esecuzione di due milioni e mezzo di detenuti, a lui viene attribuita l'idea del Zyklon B, il gas che accelerava la morte e permetteva le esecuzioni in massa. A lui vengono attribuiti innumerevoli atti di crudeltà e di ferocia, ma anche un atto di clemenza, sorprendente: un giorno venne sterminata nel lager una comunità di gesuiti tutta intera, tranne il superiore, che non era stato trovato, e subito dopo il superiore, disperato, si presentò spontaneamente alle guardie, per essere ucciso come i suoi confratelli. Le guardie lo portarono dal comandante. Il comandante ordinò di liberarlo.

Adesso, catturato e condannato a morte, visto che non si trovava un prete disposto ad ascoltarlo, Höss si ricordò del gesuita che aveva graziato e chiese che fosse cercato, lo trovarono e lo portarono da lui. Si chiamava Wladyslaw Lohn. Il gesuita accettò di confessare l'«Animale». La confessione, dice la fonte che ho qui davanti, non finiva mai, «durò e durò e durò», finché il confessore recitò la formula che dice: «Io ti assolvo». L'Animale pianse a lungo, e il giorno dopo fu impiccato. Io capisco Primo Levi.

Capisco Liliana Segre. Ma capisco anche Wladyslaw Lohn. Il perdono ha per mandante l'umanità, e l'umanità non ha il potere di perdonare Auschwitz. L'assoluzione ha un altro mandante, che può assolvere anche chi non è perdonato.

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