Dell’infezione da Covid dall’inizio della pandemia, si è parlato in moltissimi modi. Sono scesi in campo dottori, virologi, esperti, ognuno con una propria idea o un modo di trovare la soluzione più corretta al problema di un virus che ha modificato in poco più di un anno, la vita dell’intera popolazione mondiale. Se spesso molte teorie si sono poi rivelate inesatte o non aderenti alla realtà, esiste invece una modalità basata su fattori matematici, che dall’inizio del pandemia ha aiutato e supportato nella gestione del virus. Si tratta di metodi di previsione utilizzati ad esempio per l’occupazione delle terapie intensive, o per capire con precisione quando ci saranno i picchi dell'infezione. Allo stesso modo però, sempre usando questo metodo elaborato dal gruppo di ricerca StatGroup-19, è possibile anche chiarirsi le idee per quanto riguarda i vaccini o comprendere meglio i dati del contagio o delle curve. Ne abbiamo parlato con uno dei fondatori di questo gruppo, Alessio Farcomeni, professore ordinario di Statistica dell’Università di Tor Vergata.
Professore, può spiegarci che cosa è lo StatGroup-19 e in che modo ha fornito un utile contributo alla pandemia?
“Siamo un gruppo di ricerca nato spontaneamente un anno fa, formato da cinque professori di statistica. Oltre a me, il professor Fabio Divino, il professor Antonello Maruotti, la professoressa Giovanna Jona Lasinio e il professor Gianfranco Lovison. Ci siamo dedicati alla ricerca epidemiologica e clinica, pubblicando metodologie di previsione per l'occupazione delle terapie intensive e per l'andamento a medio termine di tutti gli indicatori, tra cui ad esempio il momento in cui ci sarà il picco di un indicatore o altri aspetti di interesse. Dopo alcuni mesi si sono uniti a noi due dottorandi di statistica metodologica, Marco Mingione e Pierfrancesco Alaimo di Loro, e insieme a loro abbiamo creato un sito web che mostra statistiche descrittive e previsioni in tempo reale, basate sui nostri articoli scientifici. Siamo anche in contatto con ricercatori di altre nazioni, Spagna, Israele, Norvegia, Scozia, per aiutarci a vicenda a comprendere i fenomeni e creare progetti di ricerca congiunti. Abbiamo inoltre cercato di spiegare alle persone cosa stava succedendo per dare un’informazione chiara e di facile comprensione”.
Sviluppate modelli sulla diffusione del virus, quali sono i fattori che vengono inseriti e che percentuale di attendibilità hanno?
“Nei nostri modelli previsivi teniamo conto delle poche informazioni pubbliche a disposizione: i valori precedentemente osservati nell'area (ad esempio regione), i valori osservati in aree limitrofe, la popolazione residente, la ciclicità e, possibilmente, il numero di tamponi valutati precedentemente. Il nostro modello per la previsione delle terapie intensive è molto accurato, abbiamo pubblicato per un anno, previsioni giornaliere per ciascuna regione. Tra queste migliaia di previsioni, abbiamo sbagliato soltanto di tre posti letto, e in oltre il 99% dei casi, i nostri intervalli di previsione comprendevano l'effettiva occupazione che sarebbe stata comunicata in seguito. I nostri modelli per valutare l'andamento generale non sono disegnati per essere altrettanto accurati, però siamo riusciti a prevedere correttamente, con un anticipo di 10-15 giorni, il periodo di picco di ciascuna ondata in ciascuna regione sia per l'incidenza (nuovi casi giornalieri) che per i decessi”.
Spesso i numeri della pandemia spaventano e per molti non sono comprensibili, vorrei chiederle se può spiegarci come funzionano.
“Purtroppo le stime di Rt (l’indice di contagio ndr) che vengono riportate periodicamente, hanno vari problemi di fondo: il più serio è che si riferiscono a dati di alcuni giorni prima. È principalmente per questo che è possibile vedere aumentare il numero di infetti, ma diminuire l’Rt ovvero l’indice di contagio: perché questo si riferisce magari a una settimana prima, quando l'incidenza era ancora stabile o decrescente. Inoltre la stima di Rt è spesso poco precisa per via di dati di base non sempre corretti. Insomma, il mio consiglio è non farci troppo affidamento. Stessa cosa per l'oscillazione casuale del dato giornaliero: la variazione di oggi rispetto a ieri conta poco, specie nei primi giorni della settimana. E' invece utile basarsi su conteggi aggregati a livello settimanale. In ogni caso, leggere i numeri della pandemia è complesso perché, come dicevo, sono in parte poco affidabili (ad esempio la crescita di incidenza è spesso sottostimata, in quanto i tamponi fatti non crescono abbastanza rapidamente, e aumenta la proporzione di infezioni non diagnosticate). Per comprenderli è utile combinare diversi indicatori. Ne menziono due: il tasso di positività (ovvero i positivi sui casi testati), e i nuovi casi settimanali per 100.000 abitanti. L'Istituto Superiore di Sanità, tenendo conto di tutto, ha fissato come soglia critica 50 casi diagnosticati settimanalmente ogni 100.000 abitanti. Questi si traducono in una media di circa 4000 casi al giorno su base nazionale. Ognuno può fare il conto per la propria provincia (o regione) in base alla popolazione residente. Quello che dobbiamo chiederci però è se stiamo individuando abbastanza casi. Questo ce lo dice il tasso di positività. Stiamo andando bene se facciamo abbastanza tamponi che risultano negativi, e quindi il tasso di positività è basso. Alcuni studi importanti hanno determinato la soglia critica al 2%. Altri indicatori sono: il numero di contatti a rischio, identificati per ogni caso (ovvero le persone con cui sono entrate in contatto che devono essere sempre almeno 10), il tempo necessario per dare disposizione di quarantena a queste persone (per tutti entro 24 ore dalla diagnosi) e la percentuale di diagnosi positive da tracciamento (al momento è uno sconfortante 33%). Si capisce quindi l’importanza di trovare i soggetti positivi e isolarli, altrimenti è quasi inevitabile che prima o poi si inneschi un’ ondata epidemica che richiede l'uso di forti misure restrittive. Questo ovviamente fino a che non si avrà un’immunità di gregge dovuta alle vaccinazioni. Una questione di fondo è il rischio di essere noi il contatto di una persona contagiosa. Questo cresce con i casi diagnosticati ogni 100.000 abitanti, ma è comunque una stima molto complessa. I casi invece diagnosticati, vengono messi tempestivamente in isolamento, e in linea di principio non dovrebbero contagiare nessuno (al di fuori del proprio nucleo famigliare, ma questo è un altro problema). È importante ricordare che al momento conducendo una vita normale, prendendo i mezzi pubblici, andando a lavoro o al bar è certo che si incontri almeno una persona contagiosa e non diagnosticata. Per questo è fondamentale avere delle attenzioni particolari. Prima tra tutte le mascherine e avere pochi contatti possibilmente di breve durata e all'aperto. Dovendo dare un consiglio è importante usare la massima attenzione finché non ci saranno contemporaneamente tre condizioni: il fatto di essere vaccinati, quando si avranno meno di 2000 casi al giorno (su scala nazionale), e quando la positività (su casi testati, non su tamponi) sarà inferiore al 2%”.
Parlando di vaccini spesso le persone non hanno le idee chiare. Può spiegarci il concetto rischio/benefici e perché è fondamentale vaccinarsi?
“Partirei con il dire che qualsiasi cura a cui ci si sottopone, viene valutata sulla base del confronto dei benefici attesi e la frequenza di effetti indesiderati. È importante dire che tutti i trattamenti, quindi non solo i vaccini, hanno benefici ed effetti indesiderati, perché purtroppo non esiste la cura miracolosa. Per un vaccino il profilo di rischio deve essere irrisorio, peerché viene somministrato a persone sane. La sperimentazione fortunatamente è in grado di evidenziare eventuali effetti indesiderati gravi (diciamo più di un caso su 10000) e per nessun vaccino approvato (nel nostro caso dall’AIFA) ce ne sono. Quindi possiamo vaccinarci tranquillamente. Guardando alle decine di milioni di persone vaccinate con AstraZeneca in Europa e Gran Bretagna, tutti i tassi di eventi non rari accaduti dopo vaccinazione, sono confrontabili con quanto ci si sarebbe aspettato anche senza vaccinazione in una popolazione con caratteristiche simili. Per chiarire meglio, se prendiamo dieci milioni di persone a caso, qualcuna sfortunatamente per qualsiasi ragione, domani avrà un attacco cardiaco fatale. Allo stesso modo se prendiamo dieci milioni di persone che hanno fatto il vaccino da poco, accadrà anche a qualcuna di loro, perché il vaccino non protegge dall'attacco cardiaco. Però registrando accuratamente i casi, ampi studi hanno mostrato che le persone che hanno avuto eventi avversi gravi dopo la vaccinazione, non sono più di quelli che li hanno avuti prima. Eventuali eccessi di eventi rari sono spesso dovuti a "perdita di latenza" che vuol dire che un evento che sarebbe accaduto comunque a breve, viene innescato dalla risposta infiammatoria alla vaccinazione. Non ne sono stati evidenziati di concreti per i vaccini contro SARS-CoV-2, incluso il caso delle tromboembolie (o dei decessi in generale). Credo si possa dire che questi vaccini, così rapidamente disegnati e sperimentati, siano una grandissima conquista. È stato osservato un eccesso di un particolare tipo di trombosi: la trombosi del seno cavernoso con piastrinopenia, un evento molto raro che ci si aspetta circa 1 volta ogni milione di vaccinazioni. L'incidenza è stata invece circa 5 volte ogni milione di dosi. Non è una prova, ma un sospetto, che la vaccinazione possa incrementare il rischio di questo evento di circa 5 volte. Ma, ammettendo anche che la cosa fosse effettivamente così, anche se al momento è un sospetto, il ragionamento relativo al rapporto rischio-beneficio ci porta a riflettere che una trombosi del seno cavernoso, resterebbe comunque un evento estremamente raro. Sarebbe quindi ancora estremamente conveniente vaccinarsi, visti i rischi legati all’infezione e all'alto rischio di contrarla. Facendo un paragone, sarebbe cinque volte più probabile essere colpiti da un fulmine durante ottanta anni di vita, che avere una trombosi del seno cavernoso dopo la vaccinazione con AstraZeneca. O ancora, è più probabile una gravidanza quadrigemina (cioè con quattro gemelli) che una trombosi del seno cavernoso dopo la vaccinazione per il Covid. Guardiamo ora ai benefici: in un contesto pandemico il beneficio di una vaccinazione è molto superiore che nel classico contesto di prevenzione, in quanto è molto più probabile ammalarsi se non ci si vaccina. Siamo tutti ad alto rischio di infezione, e grossolanamente si può stimare che circa un italiano su dieci abbia avuto ad oggi l'infezione. I rischi di avere conseguenze dipendono molto dall'età. Marginalmente si ha un rischio di morte di circa 1% / 10% di ospedalizzazione. Una percentuale di infetti variabile, superiore al 30%, ha conseguenze permanenti in almeno un organo o sviluppa la sindrome post-virale nota come “long Covid” che porta debolezza e confusione o altri effetti, anche molti mesi dopo la guarigione. Non va poi dimenticato che nell’ultimo anno, circa un italiano su quattrocento è morto di Covid. Insomma, infettarsi non è certo raro così come avere conseguenze letali in caso di infezione, e le conseguenze a lungo termine quando ci si è infettati sono la norma. Raccomando quindi fortemente a tutti di cogliere la prima occasione di vaccinarsi, indipendentemente dal tipo di vaccino che viene offerto”.
Avete realizzato uno studio che abbia messo a confrontato rischi e benefici di tutti i vaccini?
“Studi di questo tipo sono apparsi su autorevoli riviste scientifiche e continuano ad uscire quasi giornalmente. Sintetizzando molto, tutti i vaccini approvati sono sicuri ed efficaci. Sono inoltre probabilmente efficaci anche nel bloccare o ridurre fortemente la trasmissione del virus e anche contro le principali varianti identificate. Su questo punto il vaccino AstraZeneca ha bisogno di ulteriori studi relativamente alla variante Sudafricana. C'è un primo studio negativo su Lancet, che però ritengo non conclusivo: a causa del basso numero di soggetti coinvolti, inoltre è stato valutato solamente il rischio di infezioni lievi o moderate (non potendo fare conclusioni sulle infezioni severe, sui decessi, o sulla necessità di ospedalizzazione). Per quel che riguarda gli eventi avversi, i singoli casi non vogliono dire nulla. Molte persone sono spaventate dal risalto mediatico dato alla singola persona deceduta magari per altre cause, dopo la vaccinazione. Il confronto va fatto sui conteggi complessivi. Tutti i vaccini possono dare effetti indesiderati lievi e momentanei, inclusi dolori articolari, gonfiore ai linfonodi, e nausea. AstraZeneca (e mi aspetto anche Johnson&Johnson) dà più spesso febbre, ma il tutto passa nel giro di uno o due giorni. I vaccini Pfizer e Moderna sono leggermente più a rischio di sviluppare reazioni allergiche per via dei lipidi utilizzati. Chi ha storia di reazioni anafilattiche dovrebbe ad esempio fare il vaccino AstraZeneca. I dati ci parlano comunque di poche decine di reazioni per milione di dosi con i vaccini ad mRNA (che sono quelli che contengono una molecola denominata RNA messaggero (mRNA) con le istruzioni per produrre una proteina presente su SARS-CoV-2, il virus responsabile di Covid-19. Il vaccino non contiene il virus e non può provocare la malattia ndr. fonte Aifa), nessuna con conseguenze gravi. Il consiglio è quindi quello di vaccinarsi tutti il prima possibile.”
Se si fa il confronto tra la percentuale di rischi dei vaccini covid, rispetto ed altri tipi di vaccini come ad esempio quelli per l'influenza stagionale qual’è il risultato?
“I vaccini per l'influenza stagionale danno effetti indesiderati in maniera variabile, dipendentemente dalla formulazione per l'anno in corso. Gli effetti indesiderati comuni sono analoghi ai vaccini Covid, con frequenze molto simili. Rispetto ai vaccini contro la SARS-CoV-2 sono noti più effetti indesiderati rari, tra cui reazioni allergiche, eruzioni cutanee, trombocitopenia, neuropatie transitorie. Nulla di rilevante in termini di rapporto rischi-benefici: anche i vaccini per l'influenza sono sicuri e mi auguro che in futuro la copertura vaccinale cresca molto rispetto agli anni passati. Vorrei far notare che mentre i rischi sono analoghi, i benefici sono di ordine di grandezza differenti: ogni anno muoiono tra le ottomila e diecimila persone per influenza, senza altri accorgimenti che una vaccinazione a medio/bassa copertura per la popolazione a rischio. Per il Covid, con draconiane misure restrittive, abbiamo già avuto molto più di centomila decessi, senza contare tutte le altre conseguenze per chi ha avuto l'infezione”.
Lei stesso si è vaccinato con AstraZeneca.
“Sì, come personale scolastico. Ho avuto un po’ di febbre (37.5) il giorno successivo e mi sono sentito un po' debole per i due giorni dopo l'inoculazione. Nessun altro effetto collaterale. Il Covid è peggio. Farò la seconda dose senza nessun tipo di ansia”. Quanto c'è del vostro apporto nelle decisioni prese dal governo sulle varie fasce di colori delle regioni, e se sì, in base a quali dati “Ci è stata chiesta informalmente la scorsa estate un’opinione, sulla bozza del documento per il monitoraggio. Abbiamo espresso alcune perplessità. Il documento però non è stato modificato. Credo che il sistema dei colori abbia dei punti di forza, ma si possa migliorare drasticamente sotto molti aspetti. Abbiamo provato varie volte ad entrare in contatto con gli organi decisionali, senza però avere riscontro. Crediamo sia fondamentale che ci sia un forte contributo della competenza statistica su questi temi. Ci sono molti eccellenti statistici in Italia, con anni di esperienza di dati epidemiologici, che potrebbero essere molto utili. Per ragioni simili ripeto spesso che sarebbe utile coinvolgere nel CTS (Comitato Tecnico Scientifico ndr), oltre a uno statistico matematico con esperienza di ricerca biomedica, un biotecnologo che possa aiutare a fare di più e meglio per quel che riguarda il sequenziamento dei tamponi positivi”.
Con l'arrivo delle varianti rispetto al virus originale, statisticamente quanto si è abbassata l'età degli infettati e la mortalità, che sono due fattori di cui spesso di parla rispetto a queste varianti.
“Le varianti sono state un po' uno spauracchio delle settimane passate. Con questo non voglio sminuirne la gravità visto che sono in effetti più contagiose e più pericolose. In StatGroup-19 eravamo unanimi nel non attenderci i terribili numeri (di infezioni e di decessi) che venivano paventati. Si parlava di oltre 50000 casi al giorno anche se il rischio che emergano varianti con una sostanziale fuga immunitaria c'è e non va sottovalutato. Ed è questa la ragione per cui non bisogna lasciar spazio al virus permettendo che ci siano altre ondate epidemiche. Per questo anche chi è vaccinato, deve usare le stesse precauzioni di chi non lo è, finché non ci sarà una incidenza molto bassa. Detto questo, la gestione di una pandemia non cambia in presenza di varianti più o meno contagiose. Bisogna arrivare a pochi casi al giorno e mantenere bassa l'incidenza tramite apposite misure non farmaceutiche e sopratutto una sorveglianza epidemiologica rigorosa. Non ci devono più essere ondate. Se falliamo nel mantenere bassi i numeri, sarà inevitabile dover utilizzare misure restrittive. Inoltre, queste però devono essere ben strutturate e calibrate, per abbassare la curva e tornare velocemente a una bassa incidenza e ad una ripresa delle attività. Per quel che riguarda la mortalità data delle varianti attualmente identificate, a fronte di una pericolosità che sappiamo essere più alta, il tasso di mortalità dei casi (decessi su numero di diagnosi) nella terza ondata è addirittura in diminuzione. Il virus si è fatto furbo, ma noi ci siamo fatti più furbi ancora. Abbiamo vaccinato parte delle persone più fragili (in primo luogo ultra ottantenni e residenti RSA) e migliorato le cure, in particolare le terapie domiciliari.Non si ringraziano mai abbastanza i medici di base per l'enorme lavoro che stanno facendo”.
Spesso con questa pianificazione e sviluppo dettato dalla statistica, avete smentito teorie anche considerate preventivamente valide e raccontate da scienziati, ci può raccontare ad esempio quelle risultate poco credibili?
“Ci sono stati vari temi anche ricorrenti, su cui non c'è stata concordanza nella comunità scientifica. C'è da dire che qualche "esperto" ha ignorato articoli scientifici anche di altissimo livello. Menziono i più eclatanti, ma ci sarebbero parecchi spunti e curiosità su cui discutere. In primo luogo l'idea che è circolata per cui l'epidemia si sarebbe esaurita autonomamente in tempi stretti, o che il virus sarebbe rapidamente mutato in senso benigno. Credo che i fatti abbiano parlato da soli, senza dover citare numerosi lavori su Nature, Science o Lancet. In contrapposizione, il catastrofismo di alcuni colleghi che hanno urlato a crescite di tipo esponenziale all'inizio di ciascuna ondata. Nessuna epidemia può avere una crescita esponenziale sul medio-lungo periodo. È quindi sbagliato, se si osserva una momentanea crescita esponenziale, fare estrapolazioni a un mese e prevedere magari mezzo milione di casi al giorno o centomila decessi nel breve periodo. Menzionerei inoltre il continuo dibattito sul ruolo della scuola, che inevitabilmente ha un effetto complesso e che è quasi impossibile valutare sulla base di dati aggregati. Gli studi scientifici sono stati sparsi, di bassa qualità, con risultati contraddittori. La verità è che sappiamo di non sapere. Ognuno si è fatto una sua idea non supportata da forti evidenze scientifiche. La mia, che può essere considerata un’ opinione, è che fino a vaccinazione di massa dovremmo tenere sempre comunque aperti nidi, materne, ed elementari; e 100% in DAD dalle medie in su, a meno di fare test a studenti e docenti due volte a settimana. Su questo vorrei rinnovare un appello inascoltato di gran parte della comunità scientifica: i dati disaggregati sui contagi dovrebbero essere messi insieme con l'aiuto di uno statistico e condivisi con tutta la comunità scientifica. Questo ci permetterebbe di raccogliere forti evidenze scientifiche per capire bene come gestire la scuola, e non solo. Ci sono molte cose che mi piacerebbe studiare bene, avendo i dati.”
In questo momento in che fase ci troviamo della pandemia e se ci sono previsioni per il prossimo futuro?
“I nostri modelli ci dicono che siamo entrati in un periodo di picco per quel che riguarda l'incidenza, su scala nazionale. Alcune regioni sono ancora in crescita, ma possiamo comunque prevedere di non vedere numeri molto più alti di questi. Tra questa settimana e subito dopo Pasqua, dovremmo. finalmente vedere una decrescita del numero di diagnosi giornaliere. Purtroppo, come conseguenza ritardata dell'ondata di infezioni, la pressione sugli ospedali e i decessi continueranno a crescere ancora per un po'. Ho il timore che difficilmente riusciremo a non avere alcuni giorni, speriamo pochissimi, con meno di 600 decessi al giorno in media, e potremmo persino superare i 700”.
Avete una previsione per la terza ondata e come sarà anche in base alle vaccinazioni in aumento.
“Possiamo parlare in maniera imprecisa di terza ondata. Speriamo con la tarda primavera di avere una incidenza bassa (forse leggermente superiore a quella osservata lo scorso anno) senza misure restrittive troppo invasive. Mi auguro sia possibile completare il ciclo vaccinale di un’ alta percentuale di italiani, nel frattempo. Se ce la faremo entro la fine dell'estate, possiamo sperare di non vedere forti ondate nel prossimo futuro. Sarà comunque necessario mantenere certe attenzioni, fare attenzione all'importazione di varianti. L’ importante sarà intervenire in maniera tempestiva di fronte a piccoli focolai, con test massivi (sia di screening nell'area, che del più ampio numero possibile di contatti di caso) e con rigorosi isolamenti e quarantene”.
Che errori sono stati fatti fino ad ora nella diffusione di informazioni sul Covid e quali secondo lei sono quelli da evitare per il futuro?
“Credo che le informazioni sul Covid siano state talvolta diffuse in maniera poco equilibrata, esagerando in un senso o nell'altro. Naturali oscillazioni giornaliere verso l’alto sono talvolta ancora viste come forti accelerazioni dell'epidemia e verso il basso come consistenti frenate. Questo credo abbia confuso i cittadini che probabilmente hanno avuto difficoltà nel capire quando il rischio stava effettivamente fortemente aumentando (come a inizio Ottobre o metà Febbraio), o che in estate il rischio era basso ma non nullo e andavano comunque evitati luoghi chiusi affollati”.
È passato poco più di un anno dall’inizio della pandemia, con questa seppur minima esperienza alle spalle, cosa si poteva fare meglio?
“Preferisco pensare a cosa si potrà fare per gestire meglio la convivenza con il virus in futuro. In primo luogo penso a una profonda riforma del sistema di monitoraggio, mantenendo chiaramente i suoi aspetti migliori, basata su misure ancora più localizzate e sull'uso di indici più semplici, e tempestivi. Si possono determinare soglie automatiche ed ottimali per l'istituzione o il rilascio di misure restrittive. E' facile dimostrare che, sebbene vi sia una innegabile efficacia nella mitigazione, abbiamo quasi sempre chiuso tardi e riaperto presto. Un sistema calibrato meglio, avrebbe portato a meno decessi e ospedalizzazioni e un minor numero di giorni spesi in zona rossa o arancione da ciascuna regione. A questo aggiungo che sarebbe bene prevedere le misure a un livello più disaggregato, ad esempio provinciale, sulla base di un sistema di raccolta dati standardizzato e unificato a livello nazionale. Questo è un punto chiave: i sistemi informativi vanno migliorati molto, al momento non sono di qualità accettabile.
Si possono inoltre fare molti più test di screening, in maniera rapida ed economica, tramite il sequenziamento dei tamponi in gruppi. Vorrei menzionare inoltre le idee di alcuni colleghi di assumere i disoccupati per impiegarli nel tracciamento dei contatti, e della costruzione di studi campionari di sorveglianza gestiti da Istat”.
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