L'Italia dei trasformisti non si trasformerà mai

La nostra storia recente raccontata (a modo suo) dal grande giornalista

L'Italia dei trasformisti non si trasformerà mai

Altra menzogna da sfatare è che siamo un popolo d'individualisti. No: siamo un popolo di pecore riottose, che seguono il pastore finché gli fa comodo e finché il pastore occhiutamente veglia su di loro e i cani non le perdono di vista. Ma quando il pastore si distrae e si distraggono i cani, ognuno va per i fatti suoi, alla ricerca di una nuova guida. Non viviamo nemmeno in una democrazia, perché la democrazia è laica e anti-ideologica, mentre la nostra è un regime, che non diventa dittatura perché refrattario a ogni forma di organizzazione e di disciplina. In Francia il cattolico è laico, in Italia non lo è nemmeno l'ateo.

(...) A un certo punto l'occhio di Tyrone, l'Amerikano, cadde sulla targa della via e, non avendo mai sentito nominare Depretis, chiese chi fosse a Cesaretto, il quale, appassionato di storia, gli raccontò la vita del politico di Stradella, noto per avere inaugurato in Parlamento il trasformismo. «Significa» gli spiegò Cesaretto «cambiare facilmente idee e gabbana. Ma non per convinzione: per convenienza. Chi era di destra passava disinvoltamente a sinistra; chi era a sinistra al centro; chi era al centro si barcamenava».

Un vizietto molto italiano che consentì, anni più tardi, a Mussolini, direttore dell'Avanti!, organo ufficiale socialista, di passare dal più bellico neutralismo all'interventismo più rapace, fiutando l'aria che tirava negli ambienti estremisti.

Per vent'anni, gli anni del fascismo trionfante, nessuno osò buttare alle ortiche il fascio per brandire la falce e il martello, nessuno osò togliersi la camicia nera per sostituirla con quella rossa o cantare Bella ciao! invece di Giovinezza.

È il grande vantaggio delle dittature finché il tiranno è al potere e tutti sono con lui, fanno tutto quello che dice e per lui si butterebbero nel fuoco. Poi, quando viene deposto, tutti con il nuovo uomo della Provvidenza, l'Ente supremo.

Per questo, chiosò l'Amerikano, non ci sono più fascisti. Cesaretto, che si aspettava l'obiezione, obiettò che tutti erano diventati antifascisti poiché solo questo ormai pagava.

Togliatti, che a suo modo era stato un geniale politico e un tattico formidabile, finita la guerra chiamò a raccolta tutti gli intellettuali del regime, foraggiati per lustri dal Minculpop, il ministero della Cultura popolare, e gli fece questo lungimirante e persuasivo discorsetto: «Siete stati tutti fascisti. Oggi il fascismo non c'è più e, ciò che più conta, non c'è più il Puzzone, che abbiamo fatto impiccare a piazzale Loreto a testa in giù, con l'amante Claretta Petacci, che non c'entrava niente. Approfittate, e venite tutti con noi. Vi rifaremo una bella verginità e tornerete a essere i maîtres à penser che per vent'anni hanno servito scrupolosamente ed enfaticamente il regime». Il discorsetto piacque e il trasformismo, e il suo fratello maggiore, il conformismo, assursero a opportunistica moda.

Una pratica, aggiunse il ragioniere, sempre attuale nella Prima e nella Seconda Repubblica. E fece un elenco di politici puntualmente riportati dall'Amerikano su un taccuino dai fogli gialli a righe, tanto in uso nei college d'Oltreatlantico. In Italia il primato di voltagabbana, il record, spettava a un senatore napoletano che aveva cambiato casacca undici volte: prima all'estrema sinistra, poi all'estrema destra, quindi una sosta al centro, per poi ricominciare con impudenti e impunite varianti.

«È vero» incalzò Tyrone «che tutti gli italiani sono corrotti?»

«Tutti quelli, e sono tanti, che possono permetterselo».

«E gli altri?».

«Si adattano, si adeguano, in attesa dell'occasione che prima o poi si presenterà di diventarlo».

«Quali sono i reati più comuni contro il patrimonio dello Stato?» chiese l'Amerikano.

«Non c'è che l'imbarazzo della scelta. La concussione e il peculato vanno forte, ma non sono dammeno i falsi in atto d'ufficio e, da tempo immemorabile, le bustarelle».

«E le tangenti?».

«Be'» rispose Cesaretto, «le tangenti sono una cosa seria. Molto più seria. Io do un appalto di cento milioni di euro a te e tu ti sdebiti con un pizzo di dieci a me».

«A quanto ammonta il vostro debito pubblico?» interrogò l'Amerikano.

«Una quisquilia: duemilacinquecento miliardi di euro» rispose Cesaretto, che sul computer seguiva con gran patema d'animo i nostri conti pubblici e le borse mondiali, compresa quella di Hong Kong, dove, se mai avesse preso moglie, sarebbe andato a vivere.

«Perché» domandò giustamente l'Amerikano «un debito così astronomico?».

«Tutto cominciò una sessantina d'anni fa con le pensioni baby e le liquidazioni d'oro».

«Cioè?».

«Con il centrosinistra, il più infausto pateracchio abbattutosi sul Paese dall'invasione di Carlo V e dei suoi lanzichenecchi».

«Ma il centrosinistra aveva dei modelli esemplari in Svezia e nei Paesi scandinavi e anglosassoni».

«Ma noi non discendiamo dai Vichinghi e dagli Esquimesi, ma dai Visigoti e dagli Arabi, che avranno portato in Italia mandorle e cuscus, ma anche tante cattive abitudini e perfide astuzie». Fece una breve pausa, ordinò una granita con panna, e continuò: «A rendere istituzionale il malcostume sono stati i socialisti e i democristiani.

I socialisti speculavano su tutto, purché avesse un prezzo; la Dc, e lo stesso Andreotti e i suoi democristiani, che si chiamavano amici solo quando volevano pugnalarti alle spalle, forse mossi a compassione dallo scontento degli statali, sentenziarono che si poteva andare in pensione a trentacinque anni di età, un'età francamente precoce, a meno che il destinatario non fosse paralitico o demente».

«Inaudito» commentò l'Amerikano.

«Ma questo è niente. Vogliamo parlare dei falsi invalidi?».

«Io in giro ne ho visti pochi».

«Ne avrai visti pochi, ma ce ne sono dappertutto. Ogni tanto la polizia o i carabinieri scoprono un falso sciancato partecipare a una maratona (e magari vincerla), un finto cieco al volante di una Ferrari o di un Tir, un sordo dirigere la filarmonica del paese, un cardiopatico godersi uno spogliarello in un night o un muto tenere comizi in favore dello spinello in piazza Navona».

«Non posso credere che l'Italia sia questa» fece l'Amerikano. «Non potrai» obiettò Cesaretto, «ma l'Italia è questa; non migliore, forse peggiore».

«I rapporti ufficiali dei

miei superiori» disse Tyrone, «a cominciare da quelli dell'ambasciatore, uomo integerrimo, se mai ce ne furono, non sono così catastrofici».

«L'ufficialità non coincide mai con la verità» concluse Cesaretto con un sorriso.

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