Marta, Viterbo. Sindaco, vicesindaco e sei fra assessori e dirigenti comunali indagati. Motivo? Una diga frangiflutti sul fiume trasformata in porto turistico.
Accade anche questo in un’oasi ambientale fra le più belle dell’Italia centrale, quella del lago di Bolsena in provincia di Viterbo, dove questa mattina sono stati notificati gli avvisi di garanzia ai presunti responsabili. Iscritti nel registro degli indagati il sindaco del piccolo comune di Marta, Maurizio Lacchini, la vicesindaca Lucia Catanesi, gli ex assessori Andrea Garofoli, Roberto Pesci e Cinzia Pistoni, il segretario comunale Mariosante Tramontana, l’ex responsabile dell’ufficio tecnico Angelo Centini e l’attuale dirigente, Giacomo Scatarcia.
Sotto sequestro la struttura portuale, di proprietà comunale e affidata in gestione a una ditta privata. Le accuse ipotizzate dal procuratore Paolo Aurigemma e dal pm Massimiliano Siddi della Procura di Viterbo vanno dal reato ambientale all’abuso d’ufficio e falso ideologico. Un’inchiesta durata due anni per la Guardia di Finanza del comando provinciale di Viterbo, avviata all’indomani della realizzazione di un’opera di forte impatto ambientale sul lago di Bolsena.
Una colata di cemento lunga 270 metri sul fiume Marta, emissario che prima di gettarsi nel Tirreno bagna i territori di Tarquinia e Tuscania (guarda le foto).
Secondo gli inquirenti la realizzazione dell’opera, ultimata nel 2016 con la trasformazione dell’assetto della vecchia area portuale, ha permesso all’amministrazione comunale di intascarsi, illecitamente, i proventi economici derivanti dall’attracco delle imbarcazioni turistiche utilizzando, inoltre, attrezzature non collaudate. Il nuovo molo, del resto, non poteva essere inserito nella costruzione dell’intera opera idraulica, la diga di protezione, perchè escluso dal progetto originale autorizzato dalla Regione Lazio e finanziato con fondi europei.
Permessi che non includevano l’ampliamento del bacino portuale dato l’impatto sulla componente idrico-ambientale. Insomma, le autorizzazioni firmate e controfirmate dal primo cittadino, dalla sua vice e da parte della giunta non parlavano certo di un porto turistico ma di una barriera di protezione che avrebbe dovuto evitare l’insabbiamento della vecchia darsena. In particolare, secondo quanto accertato dalle Fiamme Gialle viterbesi, il Comune di Marta ha adibito la struttura a zona di attracco per diportisti mediante l’installazione di pontili galleggianti, anelli di ancoraggio e corpi morti sui fondali. Tutti strumenti senza collaudo e “in palese distonia - si legge sull’ordinanza di chiusura indagine - con le finalità primarie dell’opera idraulica e in violazione del vincolo paesaggistico, con potenziali rischi connessi anche alla sicurezza dei natanti e all’inquinamento dell’area”.
Una triste vicenda, a tratti controversa. Il gip Francesco Rigato, sulle prime, respinge la richiesta di sequestro dell’area. Decisione che non trova d’accordo il pubblico ministero dello stesso Tribunale che si oppone con fermezza al suo collega chiedendo al Tribunale del Riesame la revisione di questa decisione.
Secondo il gip, “pur potendosi ritenere sussistenti elementi denotanti la consumazione del reato ambientale, la mera consumazione del reato non determina comunque l’insorgenza di un pericolo tale da rendere necessario il sequestro preventivo”. Ma per il procuratore Aurigemma e il sostituto Siddi i sigilli vanno messi. E questa mattina, con il via libera del Riesame, i finanzieri hanno sequestrato e chiuso il porto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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