Il primo focolaio, poi l'epidemia. Così Bergamo è entrata all'inferno

Il supermarket preso d'assalto. La partita dell'Atalanta. Le industrie. Cosa c'è dietro il boom del coronavirus nella Bergamasca

Il primo focolaio, poi l'epidemia. Così Bergamo è entrata all'inferno

L'inferno di Bergamo è fatto di immagini e storie. Ci sono le bare trasportate dall'esercito lontano dalla città. I forni crematori incapaci di sostenere il ritmo. Gli obitori pieni, le chiese che non possono celebrare i funerali, ma si aprono per raccogliere i defunti in attesa di destinazione. La crisi della Bergamasca ha i volti dei ventitre parroci ammazzati dal virus invisibile, dei suoi cinquanta morti in media al giorno, è quel primo posto nella tetra classifica dei casi da coronavirus (7.072 dall'inizio dell'epidemia). Più che istantanee, sono pugni nello stomaco per una provincia ormai allo stremo. Fino a ieri fiera vena produttiva del Paese, e ora in piena carenza di ossigeno.

Sindaci, cittadini, analisti si chiedono: perché proprio Bergamo? Alcuni hanno ipotizzato che la diffusione del contagio sia dovuta all'inquinamento prodotto dalle tante industrie della zona. Difficile dirlo, appare anzi un'ipotesi improbabile. Certo è che la Bergamasca ha nel suo dna economico lo scambio con gli altri Paesi, Cina compresa, e questo potrebbe essere uno dei motivi per cui qui il Covid-19 ha colpito più che altrove. "Non necessariamente il primo soggetto a portare il virus in Italia potrebbe essere stato un cinese", ha spiegato l'Ats a Bergamo News. “Potrebbe essere stato anche un uomo d'affari italiano, o di altra nazionalità, di ritorno da quel Paese". Per assurdo il virus potrebbe aver colpito chi più lavora, si muove, produce. Insomma: chi tiene in piedi il Paese.

Magra consolazione, se mai se ne può trovare una quando i medici di base parlano di 1.800 giovani bloccati a casa con la polmonite e un aumento dei decessi rispetto agli anni passati da far accapponare la pelle. Nella sola città di Bergamo, nel 2019 dall'8 al 16 marzo erano andate al Creatore solo 23 persone. Nel 2020, nello stesso periodo, i defunti sono stati 330. Il sindaco Giorgio Gori stima che per ogni morto da Coronavirus diagnosticato, ce ne siano almeno "altre tre per le quali questo non è accertato ma che muoiono di polmonite”. Nei paesi focolai in provincia, il bollettino di marzo è simile: Nembro è passata da 9 a 63 morti rispetto all'anno scorso, Alzano Lombardo da 14 a 120. Una strage che ancora non ha una spiegazione certa.

Casi totali Bergamo

Di ipotesi, però, ne sono state fatte a decine. La più rumorosa è quella sulla "partita zero" di Champions League tra Atalanta e Valencia. Il 19 febbraio 45mila bergamaschi si riversano su Milano arrivando da tutta la provincia. "Credo che quella partita abbia giocato un ruolo importante. Un terzo della popolazione di Bergamo si è concentrata in un stadio e poi ha festeggiato", ha detto il consulente del ministero della Salute, Walter Ricciardi. "Non è un caso che quella di Bergamo sia la zona più colpita e non caso che Valencia, cioè i cittadini che sono passati dall’Italia alla Spagna, abbiano fatto da trasmettitore nel loro Paese". La penisola iberica sta infatti conoscendo una epidemia all’italiana, il 35% dei calciatori del Valencia è risultato infetto così come un giornalista arrivato nel Belpaese per seguire la partita. Sarà perché i tifosi della Dea e quelli spagnoli (2.500 quel giorno) si sono scambiati boccali di birra, hanno festeggiato in piazza Duomo, sono saliti insieme in metro? È "difficile da analizzare", sostiene Silvio Brusaferro, presidente dell'ISS. Ma in ogni caso si è trattata di una possibile bomba.

Quel che non è chiaro è se il Sars-Cov2 era già nella Bergamasca o ci è arrivato dopo le quattro reti magiche della Dea. Probabilmente la prima ipotesi, visto che sugli spalti c'erano almeno 540 tifosi della Val Seriana arrivati a Milano tutti appiccicati su auto e bus organizzati. Ad Alzano Lombardo e Nembro i primi due contagi vengono registrati il 23 febbraio. Ovvero due giorni dopo il "paziente 1" di Codogno e a quattro tramonti dalla partita Atalanta-Valencia. Troppo poco per l'incubazione di un virus arrivato da Milano, ma abbastanza per trasformare quella partita in un veicolo per l'accelerazione dell'epidemia già presente in Lombardia: non è un caso se gli epidemiologi registrano l'esplosione dei casi esattamente 14 giorni dopo quella maledetta serata di Champions.

Eppure il match non è l'unico indicatore in grado di spiegare la peculiarità della Bergamasca. "Perché proprio a noi?", si chiedono i cittadini. Per il sindaco di Nembro, Claudio Cancelli, la risposta alla domanda "chiama in causa i molti eventi pubblici, l’abitudine a frequentare le ville e le piazze". Troppa socialità, per un virus che ama passare di mano in mano, abbraccio dopo abbraccio. Cancelli, ad esempio, potrebbe essersi infettato dopo una cena sociale degli artiglieri del 23 febbraio. La trattoria di Zogno, il 14 febbraio, ha celebrato san Valentino e dieci giorni dopo gli avventori sono stati contattati dall'Asl perché uno di loro è risultato positivo al coronavirus. A Treviglio, invece, il giorno prima del blocco in Lombardia di tutte le manifestazioni disposto dal governo, bambini e famiglie hanno festeggiato normalmente il carnevale in piazza. Qualcuno avrebbe pure voluto si corresse comunque la Maratonina, poi per fortuna saltata. Ma intanto a marzo lo Stato civile ha registrato 123 decessi in paese contro i 65 dell'intero mese nel 2019.

Nuovi contagi Bergamo

Ci sono poi anche gli errori. Umani, certo. Forse comprensibili. Ma potenzialmente tragici. L'Espresso racconta come nel penultimo sabato di febbraio l'Esselunga di Nembro sia stata presa di assalto subito dopo il decreto annunciato in tv dal premier Conte sulla prima parziale chiusura dell'Italia. Si dice che il negozio abbia incassato 800mila euro in un solo giorno. E la vicinanza tra gli scaffali potrebbe aver accelerato il contagio. Ma non vanno dimenticate le tante persone che nei primi giorni dell’emergenza continuavano a girare in piazza, le piste da sci delle prese d'assalto nonostante l'invito a rimanere a casa, oppure le chat degli automobilisti che si passano informazioni su come aggirare i posti di blocco. Infine, le pressioni economiche. Confindustria era contraria a chiudere tutto, convinta che la serrata delle industrie potesse bloccare l’interscambio: un indotto di 370 imprese per un fatturato di oltre 650 milioni di euro all’anno. Il 28 febbraio gli industriali hanno lanciato la campagna video "Bergamo is running/Bergamo non si ferma" allo scopo di tranquillizzare i partner internazionali. Ed è forse anche per questo che Nembro e Alzano, nonostante avessero numeri simili a Codogno, non sono mai state dichiarate "zone rosse".

Un errore di valutazione può esserci stato. O forse è colpa dell'eccessivo desiderio di resistere. Nei giorni in cui Gori andava al ristorante per mantenere un po' di normalità, l'infettivologo dell'ospedale faceva già notare che i reparti si stavano saturando. Oggi al Papa Giovanni XXIII l'epidemia è fuori controllo, come denunciato dai medici del nosocomio, eppure fino alla fine i comuni della Bergamasca sembra quasi abbiano provato a scansare il nemico. Lo dimostrano gli annunci pubblicati sull'edizione online dell'Eco di Bergamo: molti degli eventi risultano confermati fino al 23 febbraio.

Poi dal giorno successivo iniziano ad fioccare le cancellazioni, una dietro l'altra. La provincia, alla fine, volente o nolente si è dovuta fermare, sopraffatta dal virus. Treviglio ha sospeso pure la novena alla Madonna delle Lacrime. Non successe neppure sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale.

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