"Professione 007": Federico Umberto D'Amato

Federico Umberto D'Amato esordisce giovanissimo nella Serie A dell'intelligence: è l'uomo di fiducia dell'OSS in Italia. Sotto l'egida di un referente d'eccezione come James Jesus Angleton, il giovane D'Amato mostra innate doti di spia.

"Professione 007": Federico Umberto D'Amato

Storie incredibili, dalla seconda guerra mondiale alla Prima Repubblica, tra depistaggi, doppiogiochismo, fiumi di denaro e morti sospette. Professione 007 è la serie podcast nata dalla collaborazione tra Dark Side – storia segreta d’Italia e ilGiornale.it. Una nuova puntata qui ogni martedì alle 14.

Roma, notte fonda. Una città ancora segnata dalla guerra, un'aria di cospirazione che forse le è sempre appartenuta. Due uomini s'incontrano – e non per caso – al centro di Ponte Sant'Angelo. Uno dei due è in partenza, ha fretta, ma non poteva mancare quell'ultimo incontro. In un italiano corretto, ma che tradisce le sue origini americane, dice al ragazzo di fronte a lui qualcosa del tipo: "Gli Stati Uniti le sono riconoscenti per quanto ha fatto. Abbiamo pensato sia giusto dimostrarle concretamente questi nostri sentimenti di gratitudine". L'mericano infila una mano nella tasca interna della giacca. La delusione negli occhi del ragazzo è palpabile. Si sarebbe aspettato una mazzetta di dollari e invece nella sua mano accoglie una scatolina di latta. L'americano gli sorride, si volta e se va. Rimasto solo, il ragazzo apre la scatola. Potrebbe essere zucchero... forse farina. Perplesso, il ragazzo infila un dito in quella polvere bianca e se lo porta alla bocca. Non passerà molto tempo prima di capire che quella cocaina gli potrà fruttare molti più dollari di quanti avrebbe sperato.

Federico Umberto D'Amato esordisce giovanissimo nella Serie A dell'intelligence: è l'uomo di fiducia dell'OSS [Office of strategic service] in Italia. Sotto l'egida di un referente d'eccezione come James Jesus Angleton [l'americano che abbiamo visto sul ponte], il giovane D'Amato mostra innate doti di spia. Nel 1944, da solo smantella la rete spionistica tedesca della Roma occupata, l'Abwer dell’ammiraglio Canaris, ottenendo il plauso dei vertici di quella che dopo la guerra si chiamerà CIA.
Federico Umberto D'Amato, d'altronde, è figlio d’arte. Suo padre, Federico D'Amato, era poliziotto, o meglio "sbirro", come il figlio amava definirsi, e a sua volta, aveva collaborato con gli americani nel corso della guerra. Ma, come spesso accade, l'allievo supera il maestro. Sul finire degli anni '50, D’Amato inizia la sua scalata nell'ancora non famigerato Ufficio Affari Riservati, il servizio segreto del Viminale, dove si mette in luce per una brillante operazione: l'arresto in Italia e l'estradizione di alcuni agenti dell'OAS (organizzazione di estrema destra francese, strenua oppositrice di De Gaulle). Da questo momento in poi, la sua carriera spicca il volo e nel 1966 lo troviamo a capo dell'UAR. In questo ruolo, Federico Umberto D'Amato diventa lo spione per eccellenza e il personaggio enigmatico e – per certi versi – inquietante che conosciamo oggi.

Con una rete d'informatori vastissima nei gangli del tessuto sociale, politico e persino (se non soprattutto) avversario (parliamo del PCI), gestita da una vera e propria polizia parallela che agisce nelle principali questure d'Italia, D'Amato diventa il dominus incontrastato dei segreti della Repubblica. Ci riesce con una capillare attività di dossieraggio, mirata a individuare i punti deboli di personalità in vista e non, il tutto per finalità spesso opache.

D'Amato è un accentratore. È lui in persona a gestire gli informatori sensibili. L'unico di cui si fida ciecamente è il suo braccio destro, Silvano Russomanno. Spedisce proprio lui a Milano per gestire le indagini sulla strage di Piazza Fontana, evento cardine della sua carriera e della sua fama futura. Non certo una fama positiva che l'ha inseguito anche dopo la morte. Ma D'Amato non è solo il capo degli Affari Riservati, è anche il riferimento in Italia della NATO. È in questa veste che diventa membro apicale di importanti consessi atlantici, il più importante dei quali è conosciuto come il Club di Berna, un organismo di cui è membro fondatore che riunisce le polizie politiche dei principali paesi europei aderenti alla Nato.

Il depistaggio sulle indagini di piazza Fontana, orchestrato da lui e gestito da Russomanno con il supporto della "Squadra 54" (cellula dell'UAR nella questura di Milano), segna però il crocevia della sua carriera ufficiale, che arriva al capolinea nel 1974. Nell'anno della strage di Brescia e del treno Italicus, il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani scioglie l'Uar per i pesanti sospetti che gravano sulla sua gestione e trasferisce D'Amato a capo della polizia di frontiera.

Il re degli spioni riemerge nel 1980 come collaboratore esterno del Sismi di Santovito, un ruolo ottenuto grazie all'intermediazione di un astro nascente dell'intelligence: Francesco Pazienza. Ma come dimostra una lettera riservata del 23 luglio 1981 indirizzata all'allora ministro dell'Interno Virginio Rognoni, dopo che il suo nome viene ritrovato nelle liste della P2 di Gelli, lo spione non è mai andato in pensione. Ecco le sue parole: "Operando in modo autonomo e personale ho preso contatto e ho sviluppato rapporti in tutti i settori. Se le mie frequentazioni dovessero essere interpretate come una scelta, io potrei essere considerato – caso per caso – fiancheggiatore di Autonomia operaia o del terrorismo palestinese, agente del servizio americano o sovietico, emissario di questo o di quel partito politico. [...] Dopo il '74 non c’è stato argomento di rilevanza di cui non sia stato chiamato ad occuparmi: dalle origini, la natura, i collegamenti internazionali del terrorismo, al caso Moro; dalla strutturazione, competenze, funzionamento dei nuovi servizi segreti, al mantenimento e sviluppo di rapporti con i servizi paralleli ed alleati".

Raffinatissimo gourmet, nei suoi ultimi anni D'Amato si dedica anche alla professione di critico gastronomico, ideando e curando la rubrica di cucina dell'Espresso sotto lo pseudonimo Federico Godio. Firma programmi televisivi e coltiva la sua passione per i rarissimi automi del sette/ottocento. La morte per cirrosi lo coglierà il primo agosto del 1996. Due giorni dopo, il 3 agosto, il giudice Carlo Mastelloni – nell'ambito dell'inchiesta Argo16 – ordina la perquisizione della sua casa romana a caccia del famigerato archivio personale. Non verrà trovato nulla. Forse era la casa sbagliata.

I documenti inediti, che Il Giornale.it presenta qui per la prima volta, sono uno spaccato della carriera di Federico Umberto D’Amato, la spia per eccellenza della storia italiana. Versati presso l’Archivio del Senato e provenienti dal fascicolo personale del prefetto presso il Ministero degli Interni, fanno luce soprattutto sulla genesi dell’influenza e del potere di D’Amato. Importantissimo, in questo senso, è il primo documento della serie, datato addirittura 1946, che attesta un incarico riservato di D’Amato, paracadutato in missione per conto del comando alleato, quando è ancora semplicemente un vice commissario aggiunto. Le radici di quel potere che farà di FUDA, storico acronimo del prefetto, prima il capo del potentissimo Ufficio Affari Riservati, il servizio segreto del Ministero degli Interni, e poi il direttore della Polizia di Frontiera.

Nell’ultimo documento, si può leggere in maniera sintetica la sua carriera sino al 1984, quando è ufficialmente collocato a riposo. Una pensione che però D’Amato non vivrà da pensionato, continuando a restare in quel mondo dell’intelligence che conosceva dall’interno e portandosi nella tomba, alla morte nel 1996, tanti segreti del nostro Paese.

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