Quelle chiese d'Europa vendute e trasformate in moschee

Nel Vecchio Continente sono sempre di più le chiese vuote che finiscono per diventare hotel, ristoranti, discoteche e luoghi di culto islamici

Quelle chiese d'Europa vendute e trasformate in moschee

C’era una volta l’Europa delle cattedrali e dei campanili. C’era una volta. Già, perché oggi nel Vecchio Continente sono sempre di più le chiese inutilizzate che vengono vendute e trasformate in abitazioni, ristoranti, hotel di lusso, discoteche o attività commerciali. E non sono rari i casi in cui a sostituire le torri campanarie arrivano i "minareti". Neppure i luoghi di culto, infatti, sfuggono alla legge della domanda e dell’offerta. Così, quando non c’è più nessuno che si inginocchia davanti all’altare le chiese chiudono per essere vendute al miglior offerente. E il “miglior offerente”, nella maggior parte dei casi, sono le comunità islamiche, che in Europa, al contrario, pullulano di fedeli.

A raccontare un continente che sta cambiando il profilo delle sue città è un’inchiesta de La Stampa, firmata da Roberto Scarcella. Nel nord dell’Olanda, ad esempio, negli ultimi anni quasi un terzo delle chiese ha cambiato destinazione d’uso. Sotto le volte non ci sono più panche ed inginocchiatoi, ma tavoli, banconi da bar o tappetini rivolti verso la Mecca. Stesso trend anche in Germania, Francia, Svezia, Belgio e Regno Unito. In Inghilterra sono decine le chiese cristiane acquistate a prezzi vantaggiosi dai rappresentanti delle comunità islamiche di Manchester, Bradford o Londra, per citare alcune delle città più importanti. Dal 2000 ad oggi, in Germania, per cinquecento chiese che hanno chiuso i battenti, sono state inaugurate più di cento moschee, grazie alle donazioni provenienti soprattutto dalla Turchia. A Duisburg, nella regione del Nord Reno-Westfalia, dove si concentrano le più importanti comunità salafite tedesche, la moschea della città ha preso il posto di una chiesa. Lo stesso è avvenuto ad Amburgo dove, nel 2012, una chiesa abbandonata da dieci anni è stata “convertita” nel centro islamico Al Nour.

È stata realizzata con 3 milioni di euro provenienti dal Qatar, invece, la più grande moschea della Scandinavia inaugurata la scorsa primavera a Malmö, in Svezia, dalla Wafk, fondazione islamica sunnita svedese, vicina ai Fratelli Musulmani. Anche in Francia sono diverse le chiese dove a salire sul pulpito ormai non è più il prete ma l’imam. Il caso più famoso è forse quello della ex chiesa di Saint-Jean de-la-Rive-de-Graulhet, che nel 1981 è diventata la moschea Nour El-Mouhammadi. A Marsiglia, città "algerina" di Francia, dove i musulmani sono il 40% della popolazione, la sinagoga che sorgeva a due passi dal Porto vecchio è stata venduta e trasformata in un centro islamico dove il venerdì si radunano centinaia di fedeli fasciati in abiti tradizionali. Costo totale dell’operazione: 400mila euro. E secondo l’inchiesta de La Stampa, nel mirino dell’associazione islamica Al Badr, che gestisce la moschea al numero 14 di Rue Saint-Dominique, ci sarebbero anche altri edifici di culto "del sud della Francia". Entro quattro o cinque anni potrebbero essere fino a dieci “le chiese convertite in moschee” nella sola Costa Azzurra, prevede uno dei fedeli intervistato dal giornalista del quotidiano di Torino.

In Italia, per ora, sono soltanto due le chiese trasformate in moschea. Entrambe nel cuore della Sicilia arabo-normanna. Dagli anni '90 nella chiesa di San Paolino dei giardinieri, a Palermo, al posto del Credo si recita la Shahādah. È questa, infatti, la prima chiesa d’Italia ad essere stata sconsacrata ed adibita a luogo di culto per la comunità musulmana. L’altare ad orientem dell’edificio eretto nel tardo cinquecento è stato rimosso per lasciare spazio ai tappeti dei fedeli tunisini che ormai da quasi vent’anni si inginocchiano in quella stessa direzione, ma per pregare verso la Kaaba. Nel 2015 a traslocare per ospitare una nuova moschea è stata anche la comunità evangelica di Agrigento.

Nella Capitale i centri culturali islamici si moltiplicano a macchia d’olio. Nei quartieri periferici romani, come quello multietnico di Tor Pignattara, nel raggio di poche centinaia di metri si contano decine di moschee, allestite in seminterrati, garage e box auto. Come quelli di via Lodovico Pavoni dove, dopo il sequestro di una sala preghiera abusiva di 500 metri quadri gestita dalla comunità bengalese lo scorso ottobre, sono da poco ricominciati i lavori di allestimento dei locali.

I luoghi di culto musulmani ormai, tranne alcuni casi, sembrano essere perfettamente integrati nel tessuto sociale urbano. Anche quando, come quello di via Moncenigo, nel quartiere Prati, si trovano a due passi dalla basilica di San Pietro.

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