Quell'opzione "unità nazionale" con vista Colle

Quell'opzione "unità nazionale" con vista Colle

Alla fine la suggestione del governo di unità nazionale, da non credere, trova proseliti anche nel Pd. In una Montecitorio su cui aleggia il Coronavirus, Luciano Pizzetti di Cremona, cioè un vicino della «zona rossa», già sottosegretario nel governo Renzi, ammette platealmente un giudizio di marca leghista: «Conte è imbarazzante». Da lì comincia un excursus sul da farsi: «Il problema è culturale, per i 5 Stelle la ragion di Stato è un concetto oscuro. Risultato: il governo italiano ha tirato fuori il numero dei contagi e il Pil è precipitato; gli altri Paesi Ue lo hanno tenuto nascosto e il loro Pil è rimasto dov'era. Varrebbe davvero la pena per combinare qualcosa di mettere in piedi un governo aperto a Salvini sulle riforme istituzionali. Il Pd? Lasciamo stare!». Vai ancora più a sinistra e, a sorpresa, neppure lì ti dicono un no definitivo sul governissimo. Il capogruppo di Liberi e uguali, Federico Fornaro, ad esempio, lo condiziona ad uno scenario particolare. «Tutto dipende dalla dimensione dell'epidemia. Se investirà anche gli altri Paesi Ue allora mettere in piedi un governo forte, un Cln contro il coronavirus, diventerà un obbligo. Lo schema, però, non può essere quello di Salvini: 6 mesi e si vota. Semmai quello di Giorgetti: si va avanti fino al 2022 con un governo Draghi, poi dopo aver eletto lo stesso Draghi capo dello Stato, si va ad elezioni». Ovviamente, non mancano gli scettici, magari saranno anche maggioranza, e tra loro c'è chi distribuisce veti, o pretende esclusioni, o si rifiuta a priori. Su un divano di Montecitorio il leghista Massimo Garavaglia ci scherza su con Georgia Meloni. «Io - giura - non farò mai più un governo con i cinghiesse (5 stelle in lombardo, ndr). Ho già dato». La leader di Fratelli d'Italia è addirittura più tranchant: «Io li chiamo pentecatti!».

Tra aperture, mezze aperture e chiusure la proposta è sul tavolo e ci si può ragionare. Matteo Salvini, addirittura, l'ha avanzata in una conferenza stampa in via ufficiale: un esecutivo di otto mesi per poi andare alle urne. E questo mentre nella platea Renato Brunetta dispensava un consiglio allo stratega, Giancarlo Giorgetti: «Otto mesi non bastano, ce ne vogliono almeno dodici, chiedendo in primis alla Ue di sospendere il fiscal compact e alla Bce di riprendere a comprare i titoli di Stato». Con l'altro che di rimando spiegava: «Questa non è né la proposta né di Salvini, né di Renzi, ma quella del buonsenso. Non si può andare avanti così. Sul calendario non ti preoccupare poi si vede». In poche parole c'è una certa elasticità sui tempi, ancor più se si riuscisse ad individuare un candidato condiviso per la corsa al Colle del 2022. Non per nulla lo stesso Salvini con i suoi non è stato categorico sulla data di scadenza di un eventuale governo di unità nazionale. «Mi chiedono i tempi - ha osservato - ma se io stesso chiedo di posticipare il referendum, con il risultato di chiudere ulteriormente la finestra elettorale: mi sembra abbastanza chiaro...».

E per essere ancora più solenne il leader leghista è, addirittura, salito al Colle: è tornato a parlare con Mattarella dopo sei mesi di silenzio e il capo dello Stato in un battibaleno lo ha ricevuto. Un segnale importante: la Sfinge del Quirinale, com'è tradizione, è rimasta muta, ma è consapevole, per i contatti che ha con il governatore di Bankitalia, Visco, il commissario Ue, Gentiloni, e Mario Draghi, che la situazione per il Paese è estremamente difficile (ieri lo spread ha superato quota 160) e che fra uno, due mesi la proposta di un governo di unità nazionale potrebbe tornare utile.

Risultato: ora un'ipotesi alternativa al governo giallorosso e alle elezioni, almeno sulla carta, c'è. Certo si tratta ancora di una bozza dai contorni indefiniti, ma ha perso le sembianze fantastiche dell'araba fenice. E a renderla più concreta c'è la sensazione, sempre più evidente, che l'attuale quadro politico e l'attuale governo siano troppo deboli per affrontare un'emergenza sanitaria ed economica di queste dimensioni. Un esecutivo ancora più debole, visto che ieri, ad esempio, il renziano Scalfarotto si è dimesso da sottosegretario agli Esteri in polemica con il ministro Di Maio che ha affidato le deleghe per il Commercio estero al sottosegretario grillino Manlio Di Stefano. Una conferma del fatto che, passata la fase dell'emergenza sanitaria, Renzi porrà la questione di un esecutivo all'altezza per affrontare quella economica. «Io - ha di nuovo ripetuto ai suoi - mi disimpegnerò da questo governo. Questo è sicuro e in tempi neppure tanto lunghi viste le gesta dell'attuale premier. A quel punto io non credo che ci siano i margini per un esecutivo che porti il Paese alle urne prima dell'elezione del prossimo capo dello Stato, e se Salvini entrerà in partita con me, non ce ne sarà per nessuno. Il Pd si troverà di fronte due opzioni: o accetterà di giocare e si assumerà lui stesso la responsabilità di un governo con la Lega; o non ci starà, e sono sicuro che una parte dei parlamentari piddini, e magari grillini, giocherà la partita insieme a me. Anche perché il Pd non deve dimenticare che per avere la maggioranza a noi e al centrodestra, mancano non più di una ventina di deputati». Un ragionamento a cui si aggiunge un corollario da non sottovalutare. Se il Pd restasse in panchina, infatti, non giocherebbe altre due partite importanti: quella sulle riforme istituzionali («elezione diretta del premier o, se altri la proporanno, del capo dello Stato», ripete Renzi) e quella per la successione a Mattarella.

Queste valutazioni, per nulla trascurabili, ieri hanno spinto gli esponenti vicini a Zingaretti a scatenare un fuoco di sbarramento verso la proposta. Da Goffredo Bettini ad Andrea Orlando: «Perché la Lega è democratica? O, come diceva D'Alema, è una costola della sinistra? - sono stati gli interrogativi improntati al sarcasmo, posti da Orlando ieri in mezzo al Transatlantico - Ma su! Solo in Italia, invece, di affrontare un'emergenza si cambia governo». Più riflessivo l'ex ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan: «L'ipotesi di un governo di unità nazionale potrà verificarsi solo se l'emergenza sarà gravissima. Un'eventualità a cui non credo, visto siamo noi ad alimentare il panico. Solo in un caso del genere potremmo chiamare Draghi, anche se non credo che sia disponibile. La verità è che chi propone un governissimo, lo faceva Tremonti in passato, lo fa pensando a se stesso».

Il muro del Pd, però, sconta uno scenario in cui tutti gli attori sono deboli e nel quale neppure Zingaretti può sentirsi garantito: per innescare il meccanismo, infatti, basterebbe che i parlamentari renziani aprissero la crisi, ponendo il Parlamento di fronte all'opzione elezioni o governo di unità nazionale. Beh si può scommettere che in quel caso risulterebbe più popolare la seconda. Ecco perché i veterani del Pd, qualora gli sfuggisse di mano la situazione, già immaginano l'eventuale garanzia da chiedere per non fare un dramma del siluramento di Conte.

Riflette a voce alta Piero Fassino, ex segretario dei Ds: «Si potrebbe dire di sì ad un governo di unità nazionale solo se arrivasse al 2022, dando a questo Parlamento l'opportunità di eleggere il successore di Mattarella». Poter dire la propria sull'inquilino del Colle, non è cosa di poco conto.

Augusto Minzolini

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