In questo libro c'è la prova della truffa del 25 aprile

La lettera aperta di Paolo Pisanò, fratello del giornalista e saggista Giorgio Pisanò, al direttore Alessandro Sallusti in merito alla riedizione della Storia della Guerra civile in Italia da parte de Il Giornale

In questo libro c'è la prova della truffa del 25 aprile

E gregio direttore,la riedizione della Storia della Guerra civile in Italia dopo mezzo secolo dalla prima uscita, grazie all'iniziativa editoriale del Giornale, segna, a mio parere, un punto di non ritorno: se ciò che documentava Giorgio Pisanò cinquant'anni or sono è ancora valido e credibile, allora il 25 aprile non può continuare a essere una festività nazionale oppure ne va rivisto il senso.

Perché delle due l'una: o quella di Giorgio Pisanò è una raccolta di fake news da Guinness dei primati, ovvero notizie false e tendenziose atte a screditare le radici nobili della Repubblica italiana (ma allora non si capisce perché si possano ancora diffondere impunemente invece di essere demolite istituzionalmente e perseguite penalmente), oppure sono storiograficamente inattaccabili e allora nessuna Repubblica al mondo, nemmeno sedicente «nata dalla Resistenza» (in realtà nata dalla sconfitta militare dell'Asse, al pari di Germania e Giappone), può permettersi di elevare a festa nazionale una data che è soprattutto di morte, strage e orrore per milioni di cittadini discendenti dalle centinaia di migliaia di vittime da allora bollate come «indegne di ricordo» (basti pensare solo ai centomila italiani rimasti sotto le macerie dei bombardamenti terroristici «liberatori» e totalmente dimenticati) ma i cui figli, nipoti e pronipoti si sono moltiplicati e custodiscono invece con affetto la memoria dei loro cari, ingiustamente discriminata.

Nessuno Stato al mondo, per quanto retto da follia o demenza, può macchiarsi, oltre un certo limite temporale, di una simile, sadica assurdità.

L'odierna democraticissima Germania non festeggia la «liberazione dal nazismo» il 29 aprile, il 7 maggio e l'8 maggio, giorni della sua capitolazione sui tre fronti europei Sud, Ovest, Est.

L'odierno democraticissimo Giappone non festeggia la «liberazione dal militarismo» il 2 settembre, giorno della sua resa a Tokyo.

L'odierna democraticissima Francia non festeggia la liberazione di Parigi dal «tedesco invasore» il 25 agosto, pur avendone tutto il diritto perché i tedeschi in Francia erano dei veri occupanti e il governo in esilio presieduto a Londra dal generale De Gaulle poteva legittimamente rappresentare la Repubblica francese indomita davanti a quelli. Mentre il governo Laval con il maresciallo Pétain (al pari del governo Badoglio con Casa Savoia in Italia dopo l'8 settembre 1943) era un'entità sotto costrizione e collaborazionista con l'invasore, tanto da gestire direttamente, in nome e per conto di quest'ultimo, l'orrenda retata di ebrei concentrati al Velodromo d'inverno di Parigi il 16 e 17 luglio 1942.

L'odierna democraticissima Spagna non festeggia il primo aprile la vittoria della «crociata contro i senza Dio» nella sua Guerra civile (17 luglio 1936-1 aprile 1939) ma neppure, il 20 novembre, la «liberazione dal franchismo» (morte di Francisco Franco, 4.12.1892-20.11.1975). Conserva invece, molto civilmente, sulla Sierra di Guadarrama, l'imponente Valle de Los Caídos (saggiamente depoliticizzato per legge dal 2007) dove i vincitori avevano riunito, fin dal 1940, gli uni accanto agli altri, i resti di 33.872 caduti di tutte le parti in lotta (anche volontari italiani fascisti e antifascisti) raccolti su tutti i fronti della carneficina (300mila morti).

Gli odierni democraticissimi Stati Uniti d'America non festeggiano il 9 maggio la «liberazione dalla schiavitù», ovvero la fine della loro Guerra civile (12 aprile 1861-9 maggio 1865): 1.030.000 vittime. Celebrano, invece, il Memorial Day ogni ultimo lunedì di maggio, giorno dedicato alla commemorazione di tutti gli americani caduti nella storia militare Usa, confederati inclusi. Gli Stati Uniti ebbero la forza morale di fare questo passo avanti dopo la prima guerra mondiale, ossia dopo che per oltre mezzo secolo il Memorial Day era stato dedicato solo ai caduti unionisti.

Sarebbe così difficile chiedere oggi, in tanti, trasversalmente, allo Stato italiano la stessa forza morale per cancellare il 25 aprile dalle festività nazionali e sostituirlo con un diverso Giorno del ricordo per tutte, indistintamente tutte, le vittime di quel tragico periodo, incluse quelle sacrificate agli «eccessi del dopo», consumati per le spicce nell'orgia rossa di «soluzione finale del problema borghese» ma anche attraverso i famigerati «tribunali del popolo» e le infami leggi retroattive brandite per puro spirito di vendetta dalle vergognose «corti d'assise straordinarie» a vocazione fucilatoria?

Non sarebbe ora che anche l'Italia si adeguasse, in quanto a capacità celebrativa, agli standard di civiltà del terzo millennio comandando in servizio in ogni Giorno del ricordo picchetti armati di soldati italiani per rendere gli onori militari di Stato (ossia di tutti) a tutte le vittime della Guerra civile, in tutti i luoghi simbolici ormai ben definiti, anche quelli affidati ancora al rispetto e al ricordo della sola iniziativa privata perché «istituzionalmente indegni», con contorno di immancabili polemiche sempre più anacronistiche e disgustose a proposito di inesistenti «vincitori» e «vinti», «parti giuste» e «parti sbagliate»?

Fuori dai propri confini, davanti al mondo, l'Italia intera, allora, era vinta e stava dalla parte sbagliata, tanto che sarebbe stata ammessa all'Onu solo il 14 dicembre 1955, ossia dieci anni dopo la sua fondazione (24 ottobre 1945).

Non si potrebbe, con un po' d'impegno civile, di buon senso e di buona volontà, far sentire i maniaci della festa di morte

(irrimediabilmente simboleggiata dal carnaio di piazzale Loreto), una volta tanto «politicamente scorretti»?

Io credo che se lei prendesse anche questa iniziativa coraggiosa, tanti italiani la seguirebbero con sollievo e gratitudine.

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