Per le centinaia di migliaia di imprese italiane, piccole e grandi, che rischiano di chiudere o hanno già chiuso per il caro elettricità, il governo ieri non ha fatto nulla di nulla. È incredibile come per la pandemia si sia reagito in modo eccessivo, mentre per la morte delle nostre imprese si prenda tempo. In Germania hanno deciso di affittare quattro rigassificatori e il primo sarà installato in autunno a pochi chilometri da una centrale nucleare. Da noi si aspettano ancora le autorizzazioni per aprirne uno l'anno prossimo a Piombino. I francesi, ieri titolava Le Monde, riprendono a far girare le centrali a carbone, nonostante il loro atomo. Da noi, come autorevolmente ha notato il presidente di Nomisma, Tabarelli, è stato adottato un piano (Pitesai) per lo sviluppo dei fossili presenti sul nostro territorio da cancellare per quanto sia restrittivo e folle. Il nostro ministro Cingolani conosce bene il problema, c'è da temere che non tutti capiscano.
Il governo ha adottato solo politiche fiscali populiste. Altro che professorali. Sentite questa. Chiunque abbia in Italia un impianto rinnovabile da più di 20 kilowatt (una robetta che riguarda migliaia di imprese) è costretto da una parte a ridare indietro il 100 per cento di quanto ha ricavato in più dalla vendita dell'energia nell'ultimo anno (tutto ciò che incassano sopra i 50 euro a Megawatt va allo Stato) e dall'altra dovrà pagare le bollette, per quando gli serve di notte o quando ci sono le nuvole, al prezzo decuplicato di questi giorni. Insomma una tassa sui ricavi per chi ha investito nel tanto decantato fotovoltaico. Con il paradosso che così vengono azzerati quei ricavi che sarebbero serviti a compensare, in parte, i maggiori costi della bolletta: come tutti sanno chi ha questi impianti può usarli a intermittenza. Quando manca il sole si rivolge alla rete e paga un superprezzo, mentre quando produce è costretto a vendere a prezzo tassato. Insomma anche le imprese che hanno adottato gli anticorpi del fotovoltaico per non fallire, falliranno.
Per quanto riguarda i grandi, il caso Eni è emblematico: dovrà pagare 1,4 miliardi di tassa sui cosiddetti extraprofitti. Unico paese in Europa ad aver adottato questa tassa. Da quando è stata introdotta (a marzo con il primo decreto), il cane a sei zampe ha perso un quinto del suo valore di Borsa, quasi 9 miliardi di euro. Eppure è gestita da un ottimo management, continua a fare scoperte di giacimenti (l'ultimo a Cipro) e l'energia è ai prezzi che sapete.
Si indebolisce sull'altare della demagogia extraprofitti.La morale. Siamo i primi e più duri nel tassare; siamo gli ultimi a capire come uscirne strutturalmente fuori. E in mezzo imprese, che chiudono, e cittadini che soffrono.
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