Così la Cina ci ruba pure i molluschi

Razzia di Oloturie e commercio illegale. La procura di Lecce apre un'inchiesta. Un vero e proprio mercato nero con cifre da capogiro dalla Puglia verso i paesi asiatici. Un colpo all'equilibrio ambientale del mare italiano

Così la Cina ci ruba pure i molluschi

Gli “spazzini di mare” rischiano di sparire dai mari italiani lasciandoli più poveri dal punto di vista faunistico, ma soprattutto più sporchi. Parliamo delle oloturie o "cetrioli di mare”. Vivono nei fondali marini dove i suoni sono ovattati in un mondo di colori sgargianti e sabbia finissima tra alghe, rocce e pesci di ogni tipo. Sono lì che svolgono il loro costante “lavoro” di spazzini tenendo puliti i fondali e assicurando all’ecosistema marino il giusto equilibrio. Lo fanno semplicemente saziandosi di materia organica morta. Senza considerare che loro stessi producono ed espellono alcune sostanze nutritive vitali per le alghe e i coralli.

Ma, come sempre, a rovinare la natura ci mette lo zampino l’uomo. Così, in Puglia, in particolare nel Salento (tra le province di Taranto, Brindisi e Lecce), dove le oloturie vivono vicino al litorale, vengono pescate illegalmente. Un vero e proprio mercato nero che collega la regione del sud Italia con l’oriente. Dalla Papua Nuova Guinea e dalle Filippine vengono rivendute in Cina, Indonesia e Galapagos dove vanno ghiotti per il “cetriolo di mare”. In particolare i cinesi chiamano le oloturie “hai sum” e le consumano in grandi quantità cucinate in una salsa a base di aglio, ginger, cipolla e soia. Ma non solo, le oloturie vengono utilizzate anche nella cosmesi. Le loro interiora diventano degli integratori dietetici.

Il loro costo è alto soprattutto perché dal Pacifico sono quasi scomparse. Vengono venduti dai 10 ai 600 dollari al chilo.
Prezzi alti per un animale a rischio estinzione. La Fao, infatti, identifica la pesca illegale tra le minacce, a livello mondiale, per questi echinodermi, già minacciati dal riscaldamento climatico e dalla distruzione del loro habitat.

I cittadini del Salento, a partire da Manduria, sul sito di mobilitazione “progressi.org” hanno aperto la petizione “#salvaleoloturie” rivolta al ministero dell’Ambiente, al governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano e al sindaco di Manduria, in provincia di Taranto (si è scoperto dopo che la pesca illegale veniva effettuata anche nelle province di Brindisi e di Lecce) per aumentare i controlli sulla pesca.

In un mese sono state già raccolte milleduecento firme e c’è già stato un maxi sequestro di oloturie da parte della guardia di finanza: ottanta a Porto Cesario, in provincia di Lecce e altre duecento a Torre Borraco, in provincia di Taranto.

Sulla cosa vuole vederci chiaro la procura della Repubblica di Lecce che nei giorni scorsi ha aperto un fascicolo d'inchiesta.

Il regolamento comunitario è chiaro in materia di pesca e acquacoltura: “Gli stati membri devono pubblicare un elenco delle denominazioni commerciali autorizzate sul loro territorio”. A livello nazionale, nel decreto ministeriale (del 27/03/2002) le oloturie non sono tra le specie ittiche di “interesse commerciale”. Pertanto questi molluschi non possono essere destinati al consumo umano.

Rimane il grave danno ambientale per i

fondali italiani (la pesca pare venga effettuata anche in Sardegna). Così la Cina (e non solo), già temibile concorrente, diventa anche uno scomodo “cliente” nella sfida globale alla qualità e alla bellezza del made in Italy.

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