Davanti a una manifestazione si dice sempre, anche se avversa, che è una festa della democrazia. Ebbene, nel caso di quella dei sindacati svoltasi ieri a Piazza San Giovanni no, bando alle ipocrisie: questa adunata non avrebbe dovuto esserci, o almeno non ieri. La Cgil aveva tutto il diritto di protestare contro l'assalto di una dozzina di delinquenti alla sua sede, ma a nostro avviso non poteva farlo il giorno del silenzio elettorale. Oppure Landini pensava che il sabato successivo sarebbe stato troppo tardi per fermare la novella marcia su Roma?
Quella parola, democrazia, che abbiamo sentito riecheggiare tante volte ieri in piazza, è anche (e forse soprattutto) rispetto procedurale delle regole. E una delle regole del nostro ordinamento è che non si fa campagna elettorale il giorno prima del voto. Grave che pochi abbiano fatto notare questa violazione, soprattutto tra i cosiddetti «VeriLiberali»: ma una volta che una regola è violata, nessuno la rispetterà più, e sarà ancor più tutti contro tutti. Né ci si venga a dire che la manifestazione è stata «apolitica»: tra bandiere rosse, slogan vintage, partecipazione di capi e capetti della sinistra, compreso il candidato sindaco di Roma, Gualtieri, è stata la solita, classica, manifestazione della sinistra «contro il fascismo»; la decimillesima, probabilmente, dal 1945 a oggi. Peccato (anzi, per fortuna) che il fascismo sia morto e sepolto da settant'anni e che quindi «l'antifascismo», come ha scritto Luca Ricolfi, sia ormai una formula vuota. Che può essere utilizzata strumentalmente, come è stato fatto ieri.
Una manifestazione serve infatti a rinserrare le truppe e a lanciare un messaggio. Le truppe andavano motivate in vista del ballottaggio, visto che vince chi porta alle urne i propri. Quale miglior modo che stimolarle, il giorno prima del voto? Se Gualtieri sarà sindaco, lo dovrà soprattutto alla mobilitazione di ieri, altro che pericolo fascista. Quanto al messaggio, è lanciato al governo. La kermesse non era solo rituale, serviva anche, come scritto nel programma, a diffondere le proposte della Cgil: che, in pratica, vuole più tasse, «sanzioni alle imprese» e patrimoniale.
Il tutto però presentato, in modo subdolo, come programma di difesa della democrazia e di lotta al fascismo. Ma cosa c'entra con l'antifascismo il legittimo desiderio di non volere pagare più tasse perché già massacrati dal fisco e il timore della patrimoniale? A questo vecchio giochetto della sinistra, non crede più nessuno.
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