La rete dei cult nelle Marche: l'ombra della mafia nigeriana sul caso di Pamela

Dopo gli arresti di diversi affiliati ai clan della mafia nigeriana il legale della famiglia di Pamela Mastropietro, Marco Valerio Verni, torna a chiedere che si faccia luce sui presunti legami tra Innocent Oseghale e i cult della mafia nera

La rete dei cult nelle Marche: l'ombra della mafia nigeriana sul caso di Pamela

Facevano parte di un’associazione a delinquere specializzata “nella tratta di donne da avviare alla prostituzione e nel riciclaggio di denaro” gli otto nigeriani fermati lunedì tra Marche e Abruzzo. "Collettori di denaro di provenienza illecita”, che era periodicamente trasferito in patria tramite voli di linea, ricostruisce il sostituto procuratore della Dda di dell'Aquila, David Mancini. Nascosti nelle valigie di quelli che all'apparenza sembravano semplici passeggeri sono stati trasferiti in Nigeria un totale di 7 milioni e mezzo di euro. Gli arresti sono stati eseguiti a Fermo, Civitanova Marche, San Benedetto del Tronto, Porto Sant'Elpidio e nel Teramano. Al gruppo di “travelers”, dal nome dell’inchiesta, non è stata contestata l’associazione mafiosa, ma è chiaro che facessero parte di una rete. Anche alla luce dell’arresto di ieri, a Falconara, nell'Anconetano, di God Power Aghedo, 29enne esponente della confraternita dei Vikings, uno dei clan più spietati della mafia nigeriana, fermato nell’ambito dell’operazione “Drill” coordinata dalla Dda di Bari, che ha sgominato decine di cellule della mafia nera, che avevano il loro quartier generale nel centro di accoglienza per richiedenti asilo del capoluogo pugliese.

La rete delle confraternite nelle Marche

Secondo l’ultimo rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) le Marche sarebbero controllate da due confraternite nigeriane: i Vikings e i Maphite. Questi ultimi amministrano il territorio tramite la cosiddetta “Famiglia Vaticana”. Per questo, quando due settimane fa sono state pubblicate le motivazioni della condanna all’ergastolo dell'assassino di Pamela Mastropietro, Innocent Oseghale, il legale della famiglia, Marco Valerio Verni, ha criticato il fatto che la Procura di Macerata non abbia approfondito i presunti legami tra l’uomo e le gang africane. Legami che secondo l’avvocato sarebbero suffragati da una serie di indizi emersi durante il processo. “Pamela è stata violentata, accoltellata, depezzata chirurgicamente, scuoiata, scarnificata, esanguata, privata degli organi interni, lavata con la candeggina, messa in due trolley e abbandonata sul ciglio della strada”, ricorda Verni a ilGiornale.it. Un caso che il consulente medico legale della stessa Procura ha definito “un unicum nella storia della criminologia mondiale degli ultimi 50 anni”. “Oseghale ha fatto tutto da solo? Lo aveva fatto altre volte?”, sono le domande che ancora non hanno avuto una risposta.

L'ombra della mafia nigeriana sul delitto di Pamela

In questo senso, secondo Verni, la presunta appartenenza alla mafia nera di Oseghale e dei due nigeriani inizialmente co-indagati, Lucky Desmond e Lucky Awelima, rappresenta “un importante profilo di indagine”. “È per questo – spiega - che abbiamo sempre insistito, inascoltati, affinché i documenti e gli atti venissero inviati alla Direzione Distrettuale Antimafia competente, l’unica in grado di poter valutare il tutto”. L’omicidio della diciottenne romana, secondo il legale della famiglia, va inquadrato in un contesto più ampio. A farlo pensare ci sono le minacce che hanno spaventato sia l'interprete nigeriana inizialmente incaricata della traduzione degli atti processuali, che si rese irreperibile, sia diversi altri a cui la Procura aveva tentato di rivolgersi. Una circostanza che si è ripetuta in modo speculare nell’inchiesta coordinata dalla Dda di Bari che ha portato agli arresti di ieri, nell’ambito della quale sono state riscontrate lo stesso tipo di intimidazioni da parte dei clan. Non solo. In carcere Lucky Desmond e Lucky Awelima, intercettati dagli inquirenti, in un'occasione hanno affermato come Oseghale fosse “un capo” e avesse già “ridotto in quel modo altre donne”. “Proprio sul cellulare di Awelima – sottolinea Verni - sono state trovate foto di persone di colore probabilmente torturate che ricordano le punizioni cui vengono sottoposti gli affiliati alla mafia nera in caso di violazione di qualche regola di condotta, le sevizie alle quali alcuni migranti, rinchiusi nei campi di prigionia libici, vengono sottoposti nel caso in cui la somma versata per la traversata sui barconi sia inadeguata, o alcuni passaggi dei violenti rituali di affiliazione alla stessa organizzazione malavitosa”.

Oseghale era legato ai cult?

Ad ipotizzare che l’assassino di Pamela facesse parte di una delle confraternite è anche un collaboratore di giustizia, a cui lo stesso Oseghale avrebbe confidato in carcere di essere un esponente dei cult. Le Marche, secondo quanto avrebbe gli riferito il nigeriano, sarebbero considerate un “crocevia” fra le roccaforti di Padova e Castelvolturno. “Il suo compito, in particolare – spiega l’avvocato – doveva essere quello di affittare appartamenti per promuovere lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio”. La testimonianza è stata ritenuta inattendibile durante il processo. Tuttavia, ad avvalorarla c’è un fatto avvenuto successivamente alle dichiarazioni dell’uomo. L’arresto, nel 2019, di un pusher ghanese che fino al novembre 2017 sarebbe stato ospitato proprio nell’appartamento di via Spalato. Lo stesso dove il nigeriano ha fatto a pezzi Pamela. “Inoltre – prosegue il legale - a testimoniare l'affiliazione alle confraternite ci sarebbero anche alcuni segni sul corpo dell’assassino, su cui pure abbiamo cercato di far luce”. C’è un altro particolare che fa pensare che dietro di lui ci sia un’organizzazione ricca e potente. “Oseghale ha potuto contare su un pull composto da due avvocati e sei consulenti tecnici, come ha fatto a pagarli se risultava nullatenente? Dicono con i soldi dello spaccio, ma, se fosse così, chi li ha movimentati, visto che lui è finito subito in carcere? I legali hanno risposto che si può lavorare anche solo per pubblicità o curiosità scientifica, ma solamente la copia di un cd su cui vengono riversati interrogatori o intercettazioni costa diverse centinaia di euro. E in un processo come questo ce ne sono tantissimi. Come è possibile?”, si chiede Verni.

Gli affari dei nigeriani a Macerata

“Che le Marche siano un feudo delle gang africane – dice il legale della famiglia Mastropietro – non è una novità”. Lo testimoniano i numerosi arresti di nigeriani coinvolti in giri di spaccio portati a termine proprio a Macerata nel corso del 2018. Come pure un processo contro 21 connazionali accusati di traffico internazionale di droga e sfruttamento della prostituzione con riduzione in schiavitù tramite riti "juju", caduto clamorosamente in prescrizione nell’ottobre dello scorso anno per una “dimenticanza” di chi doveva disporre le perizie sull’ingente quantitativo di sostanze sequestrate. Poi c’è l’informativa di polizia del 20 luglio 2016 che segnalava come al funerale di Emmanuel Chidi Nnamdi, il nigeriano ucciso da un italiano dopo una lite a Fermo, al quale aveva partecipato un nutrito gruppo di istituzioni - dall’allora presidente della Camera, Laura Boldrini, alle ministre Maria Elena Boschi e Cécile Kyenge - ci fosse anche una folta rappresentanza della confraternita mafiosa dei Black Axe. Gli affiliati al clan, arrivati per rendere omaggio al connazionale, erano riconoscibili perché indossavano abiti con i colori simbolo del cult: rosso e nero. Porta a Macerata anche il caso di Alice Sebaste, la cittadina tedesca detenuta a Rebibbia dopo essere stata trovata assieme a due nigeriani con 10 chili di marijuana, sposata con un terzo nigeriano arrestato a sua volta nella città marchigiana per il coinvolgimento in un vasto giro di spaccio. La donna ha ucciso i suoi due figli piccolissimi gettandoli dalle scale del settore in cui era rinchiusa proprio per paura delle minacce ricevute dalla mafia nera.

“Macerata – sottolinea ancora Verni – è una delle città in cima alle classifiche per lo spaccio, attività prediletta da questi clan”. Per questo il legale di Pamela, anche alla luce degli arresti di lunedì scorso, continua a battersi perché si vada a fondo sulla vicenda.

“Quello che abbiamo sempre chiesto - afferma Verni - è che se dalle indagini si possono ricavare indizi riguardo profili investigativi di più ampio spettro - ed è quello che è accaduto - essi devono essere seguiti. Affinché venga fuori e sia estirpato tutto il marcio possibile: solo così il martirio di Pamela avrà avuto davvero giustizia”

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