La riapertura che non esiste: tutti i punti deboli della fase 2

Dall'app che arriverà a metà maggio, all'affidabilità dei test sierologici: ecco i dubbi e le paure legate alla riapertura del 4 maggio

La riapertura che non esiste: tutti i punti deboli della fase 2

Dal 4 maggio l'Italia riparte. È questa la data che segna l'allentamento delle misure di contenimento e l'inizio della fase due. Ma nel piano del governo emergono alcuni punti di debolezza, che potrebbero rischiare di vanificare gli sforzi fatti fino ad ora. Dall'app pronta solo a metà maggio, ai dubbi sull'attendibilità dei test sierologici, fino all'obbligo di mascherine e alla necessità di tamponi. Ecco tutti i nodi ancora da sciogliere e le strategie da chiarire.

L'app Immuni a metà maggio

Il primo punto debole riguarda Immuni, l'applicazione pensata per il tracciamento dei contagiati. Ieri, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri che contiene diverse informazioni relative alla nuova app. Il documento assicura che i dati personali raccolti dall'applicazione saranno necessari solamente per "avvisare gli utenti di rientrare tra i contatti stretti di altri utenti accertati positivi al Covid-19". Tutti i dati raccolti, inoltre, verranno cancellati entro il 31 dicembre 2020. Immuni permetterà il tracciamento dei casi positivi al coronavirus, così da tenere sotto controllo la sua diffusione nel corso della fase due. Ma c'è un problema: secondo quanto ha riferito il Commissario all'emergenza, Domenico Arcuri, Immuni "entrerà in funzione entro maggio con la sua prima funzione quella del contact tracing". Ma perché sia completamente operativa sembra si debba attendere fino a metà maggio, quando verrà messo a punto anche il diario clinico. Già dal 4 maggio, però, la riapertura graduale farà uscire di casa oltre 4 milioni di persone, che torneranno al lavoro, senza il sostegno del sistema di tracciamento. Inoltre, l'app verrà scaricata su base volontaria: la sua efficacia, quindi, dipenderà dal numero di persone che decideranno di farlo.

I test sierologici

Un altro buco nel piano del 4 maggio potrebbe essere legato ai test sierologici, in grado di individuare nel sangue gli anticorpi al Sars-CoV-2, che dimostrano l'avvenuta infezione da nuovo coronavirus in un paziente. "Nel mese di maggio- aveva annunciato il premier Giuseppe Conte- procederemo ad effettuare 150mila test sierologici, partiremo da questi: quindi verrà selezionato un campione di cittadini corrispondente a questo numero, selezionato dall'Istat, il che ci consentirà di avere un quadro più chiaro sul reale impatto del Covid-19 nel nostro Paese". Ma il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, ha chiarito che "i test sierologici non daranno patente immunità", concetto ribadito anche da Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Iss: "I test sierologici non danno un patentino di immunità- ha spiegato-I vari test, se sono affidabili ci dicono solo se una persona ha sviluppato o no degli anticorpi contro il virus. E devono essere eventualmente accompagnati da un tampone". Dubbi, quindi, sia sull'affidabilità dei test, che sulla durata della "protezione" data dagli anticorpi alle persone che hanno già superato l'infezione, dato che il test non dà certezze in questo senso.

I tamponi

L'unico modo per capire immediatamente l'andamento dei contagi durante la fase due, sarebbe quello di effettuare tamponi a tappeto, che rilevano se una persona è infetta in quel momento e che, secondo gli esperti, dovrebbero essere somministrati parallelamente ai test sierologici. Ma il presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro, ha spiegato: "La priorità è andare a intercettare contatti stretti. Si tratterà di capire quanto ciò sarà compatibile con il numero di tamponi disponibili, la cui quantita non è infinita. È un tema da affrontare. Il test si dovrà fare comunque nella Sanità pubblica che darà le priorità". Il Commissario per l'emergenza, Domenico Arcuri, ha spiegato qualche giorno fa che ne sono stati distribuiti 2,5 milioni e "ne abbiamo eseguiti 1,7 mln. Debbo immaginare che le regioni abbiano in magazzino almeno 800mila tamponi, continueremo con una massiccia distribuzione per essere certi che ce ne sia sempre una quantità sufficiente". Ma, secondo il virologo Andrea Crisanti sarebbe necessario effettuare migliaia di tamponi quotidianamente: "È ragionevole pensare che i nuovi casi positivi siano molti di più di quelli ufficiali, diciamo 10mila- ha spiegato-Se ognuno di loro vede 10 persone al giorno, ci sono 100mila nuovi contatti, tracciati dalla app, che andrebbero verificati con un tampone. Centomila tamponi che vanno a sommarsi ai centomila necessari per personale medico, forze dell'ordine, ecc. Siamo pronti a fare 200mila tamponi al giorno?".

I nodo mascherine

Le mascherine diventeranno uno strumento necessario, di cui tutti i cittadini dovranno fare uso durante la fase due dell'emergenza. Per questo, il governo ne ha fissato il prezzo a 50 centesimi l'una. Ma in questo modo, le aziende rischierebbero di rimetterci, avendo in magazzino i dispositivi di protezione acquistati a prezzi più elevati. In previsione dell'elevato numero che ne servirà, alcune ditte hanno convertito la propria produzione, dedicandola alle mascherine che, prima di essere messe in vendita dovranno passare degli appositi test. Ma, al momento, sembra che non siano molte quelle ad aver superato il controllo. Nessuna indicazione, infine, arriva sulla tipologia di mascherina da usare, nonostante ne esistano di diversi tipi e di diversa efficacia.

I controlli

Un altro dei punti deboli della fase due potrebbe essere legato alla nuova apertura che interessa gli spostamenti. Da lunedì, infatti, sono autorizzate le uscite per far visita ai "congiunti". Ed è proprio su questo termine che si sono scatenati i dubbi e le interpretazioni. Palazzo Chigi ha poi chiarito che per congiunti "si intendono parenti, affini, coniugi, conviventi, ma anche fidanzati e affetti stabili".

Una definizione che, se confermata, renderebbe difficile poter controllare le uscite consentite, col rischio di un affollamento delle strade, che potrebbe far precipitare nuovamente la situazione. Ma Conte è stato chiaro, sottolineando che il prossimo 4 maggio non è da intendere come una sorta di "liberi tutti".

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