Il racconto di chi c'era è stupefacente. E vale più di tante analisi e medaglioni. Quando, in una delle prime, drammatiche riunioni dopo il crollo del ponte, l'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci gli si è avvicinato, lui ha scosso la chioma smarrita come a dire: «Ma chi è questo Castellucci?». Nebbia. Nebbia fitta. Danilo Toninelli è il ministro delle Infrastrutture, delle gaffe e del pensiero lieve. Sempre più lieve. L'ultima sua uscita sui social è un confuso calembour (poi rimosso) che ammicca disgraziatamente alle disgrazie d'Italia. Si vede la solita capigliatura agitata, con i figli incolpevoli ai lati; dietro il terzetto spunta il barbiere di fiducia. Il post è incommentabile: «Ho revocato la revoca della concessione al mio barbiere».
Che simpatico il ministro. Peccato che il decreto per Genova, appena varato fra squilli di tromba fuori luogo, si sia incartato proprio sulla revoca della concessione ad Autostrade per l'Italia. Con un piede la società che fa capo ai Benetton è fuori, bersagliata dai fulmini del ministro, con l'altro resta dentro, anche perché la materia è spinosissima, irta di ostacoli e di penali miliardarie. Se si sbaglia un colpo, gli italiani pagheranno una cascata di euro. Nel dubbio, il governo e Toninelli marcano stretta la linea dell'immobilismo: non si sa chi ricostruirà il ponte, forse Fincantieri che maneggia l'acciaio ma, modesto dettaglio, fa navi e non ponti. Pazienza. Si vedrà, come un giorno, prima o poi, ma più poi che prima, spunterà anche il nome del commissario che per ora è un fantasma come tutto il resto.
Nel dubbio, meglio giocare con le forbici e dare una spuntata ai riccioli. Intanto, il ministro colleziona capitomboli e sfodera annunci roboanti. Nasce l'Agenzia per la sicurezza delle infrastrutture che all'italiana sostituisce un altro organismo che già c'era, la Direzione generale per la vigilanza, nell'eterna ruota delle meraviglie tricolori: si baby-pensiona un ente ancora imberbe e se ne crea un altro che assorbe i difetti e la pochezza di mezzi del precedente fino al prossimo cambio di sigla. Toninelli è soddisfatto e come un valletto sostiene un'arcata del plastico che Bruno Vespa gli porge. Al ministro sfugge un sorriso inappropriato, che scatena i follower delle sue sparate. Non importa. Dev'essere colpa della telecamera e lui, ricordando la propria storia barricadiera, reagisce alla grillina: «Meglio i miei errori che le loro ruberie». Meglio immortalarsi in vacanza, con la testa al riparo di un cappellino della Guardia costiera, mentre in Italia infuria il pasticcio infinito della nave Diciotti. Il tutto accompagnato da una didascalia che pare un fumetto da cinegiornale Luce: «Qualche giorno di vacanza con la famiglia, ma gli eroi della Guardia costiera sono sempre con me. Anzi, li ho sempre in testa». Sbalorditivo. Ma c'è o ci fa?
Immagini e suoni lievi, come la politica di questi tempi. Proclami. Promesse. E tanta inadeguatezza. Fra una diretta su Facebook, un selfie con i propri cari e un post su Instagram. Il ministro tuona contro i responsabili, presunti ma non importa, del disastro di Genova e intanto i suoi esperti, nominati per scoprire l'atroce verità sul crollo, cadono come birilli abbattuti dalla magistratura. Uno, due, tre, perso il conto... Aleggia nell'aria il monito scagliato da Antonio Di Pietro nelle scorse settimane: «Il ministro dice che si costituirà parte civile, ma forse è responsabile civile di quel che è successo. Non importa. Il ministro sta sempre seduto sul Giusto, mica come il Bertolt Brecht della celeberrima massima: Ci sedemmo dalla parte del torto visto tutti gli altri posti erano occupati».
Toninelli scuote ancora la
chioma, punta l'indice contro l'orizzonte, affila concetti sempre più leggeri. E s'indigna, sospingendo l'indignazione di milioni di italiani, senza più un faro nella notte.Alla prossima topica. Naturalmente, su Instagram.
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