Roma violenta ormai non guarda in faccia a nessuno. L’ultima vittima è una clochard tedesca di 74 anni. L’agguato nel cuore della notte a piazza Vittorio, poi le grida e i carabinieri allertati dai turisti. Lo stupratore ha un nome, un volto, e cinque decreti di espulsione all’attivo. Ma è solo l’ultima di una lunga serie di violenze sessuali. Sono 220 quelle consumate nella Capitale negli ultimi dodici mesi. Le donne si sentono sempre più insicure, e allora corrono ai ripari. Ognuna come può.
Sotto i portici di piazza Vittorio una ragazza di trent’anni fruga nella sua tracolla da mamma. Portafogli, cellulare, chiavi di casa, fazzoletti umidificati per il bebè e un piccolo flacone metallico. Sembra profumo, ma non lo è. È uno spray al peperoncino acquistato nel negozio di casalinghi di fiducia, ma si può trovare persino in tabaccheria. Chiara lo ha comprato a settembre, “dopo che una donna è stata molestata in via Leopardi”. Come lei c’è Paola che lo porta sempre con sé da qualche mese. Il suo è diverso, sembra più che altro un deodorante. “Mi sono decisa a comprarlo a fine estate – spiega – dopo che una turista è stata aggredita al parco di Colle Oppio”. Una lo consiglia all’altra, si sparge la voce, ed inizia “la corsa agli armamenti”. Nel negozio di elettrodomestici di zona, tra lavastoviglie e forni microonde, c’è un espositore in bella mostra dove campeggiano diverse tipologie di spray urticanti. Il titolare ci spiega che “le vendite sono in aumento”. E che a far incetta del vaporizzatore anti-aggressione non è solo il gentil sesso, ma anche mariti e padri che lo acquistano per mogli e figlie.
Più in là, nello storico negozio militare della stazione Termini, una commessa ci conferma questa versione: “È uno degli articoli più venduti, di media almeno un flacone ogni due giorni”. Acquistato, ovviamente, con la speranza di non doverlo mai usare. Più come talismano scaccia guai che come “arma”. Nell’armeria di via Barberini ascoltiamo le stesse parole, ci sono revolver e carabine di ogni tipo ma, spiega il titolare, “questo è un mercato in cui le donne restano ancora una minoranza”. Il porto d’armi è difficile da ottenere e per portarsi dietro la pistola i controlli sono ancora più stringenti. Però va a ruba un’alternativa allo spray, un piccolo congegno rumoroso. Basta pigiare il bottone ed emette il suono forte di una sirena. Serve per richiamare l’attenzione in caso di aggressione.
Sì, perché in situazioni pericolose non sempre è sufficiente gridare “aiuto”. Ce lo spiegano in una palestra dove si pratica la Krav Maga, una tecnica di combattimento israeliana che piace soprattutto alle donne. In molte affollano la sala. “Se ti trovi in pericolo devi gridare “al fuoco”, afferma convinto Fabio Di Nepi, uno degli istruttori. Il motivo? “Una minaccia per la collettività attira maggiormente l’attenzione degli altri rispetto ad una semplice richiesta di aiuto”. In questa palestra di Monteverde le tattiche militari vengono applicate all’autodifesa. E questo è solo uno dei tanti corsi che negli ultimi anni stanno prendendo piede nella Capitale. Valeria è una veterana, ha il rimmel sulle ciglia e le unghie smaltate di rosso ma, all’occorrenza, riesce ad atterrare e disarmare un uomo a mani nude. “Mi sono iscritta perché anni fa c’era una persona che mi pedinava, lo trovavo dappertutto, ed ero spaventata”. Anche Emanuela Brini si è avvicinata al Brasilian Jiu Jitsu per ragioni simili. “Una volta quattro rom mi hanno accerchiata sulla metro”, racconta. Bella, bionda e grintosa, oggi è una delle maestre della “Gracie Barra”, una scuola di fama internazionale che è arrivata da poco nella Capitale e, per far fronte alle richieste crescenti, ha attivato un corso di difesa personale dedicato alle donne che si chiama “Woman in Charge”. “Qui arrivano donne traumatizzate e con vissuti difficili - spiega - che con il Jiu Jitsu ritrovano la fiducia in loro stesse”.
Anche a due passi da Porta Pia si praticano le arti marziali. Marco Martino insegna Kick Boxing ad un manipolo di giovanissime: “Donne e ragazze non scelgono più gli sport da combattimento per rimettersi in forma ma per difendersi”. Le ragazze imparano a calciare e colpire con precisione e in modo automatico. “È l’automatismo nella risposta – spiega una di loro – che fa la differenza, di fronte ad una minaccia il mio corpo adesso è programmato per reagire con velocità”. Gomitate, ginocchiate e spazzate, ma su questo tatami non sono ammessi tutti i colpi. Per strada, invece, la musica cambia.
“Anche se i colpi bassi non sono regolamentari”, sorride l’istruttore, “alle allieve che mi chiedono dove colpire un malintenzionato dico di colpire lì: è una mossa infallibile se l’obiettivo è quello di riportare a casa la pelle”.
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