Due ville di lusso nel cuore elegante del quartiere romano dell’Eur, confiscate ai vecchi proprietari e assegnate in comodato d’uso gratuito al comune di Roma nel maggio del 2015, sono pronte per diventare la nuova casa di sei detenute, quasi tutte rom, con i rispettivi figli.
Si tratta di un progetto sperimentale, voluto dall’ex giunta Marino, per il quale il comune ha scelto di mettere a disposizione le due megaville di via Kenya 70 e 72, per ospitare detenute con figli minori di dieci anni, che si trovano attualmente nella casa circondariale di Rebibbia, e che, non avendo una dimora fissa dove poter scontare i domiciliari, qui potranno portare a termine la loro pena detentiva, in un ambiente consono alla crescita dei loro bambini. Come si legge in un articolo apparso nel febbraio dello scorso anno su Repubblica, le donne sarebbero quasi tutte rom, e i bambini che vivono reclusi con loro sarebbero circa 18.
Sono in tutto, 34, invece, i bimbi che, ogni anno, in Italia, sono costretti a vivere in cella con le proprie madri e “Casa di Leda”, questo il nome del progetto, è un esperimento che punta a ridurre a zero il numero dei piccoli dietro le sbarre. L’iniziativa è stata elaborata dal presidente della Consulta Penitenziaria, Lillo Di Mauro, con il Dipartimento delle Politiche Sociali di Roma Capitale, e si chiama così in onore di Leda Colombini. Sposata con Angiolo Marroni, il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, e madre di Umberto Marroni, deputato del Partito Democratico e già capogruppo del Pd in Campidoglio, era una partigiana e figura di primo piano del Partito Comunista Italiano, nonché attivista e “strenuo difensore dei diritti delle mamme detenute e dei loro figli costretti a vivere in carcere”, come la descrive il sito del Pd del Lazio.
Il progetto, che è sperimentale e sarà realizzato per la prima volta in Italia, è stato pensato e voluto dai rappresentanti dell’ex giunta Marino, e avviato con un protocollo d’intesa firmato dal Ministero della Giustizia, dall’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale e dalla Onlus Poste Insieme, nell’ottobre 2015. La Onlus di Poste Italiane si è impegnata anche a stanziare 150mila euro l’anno per sostenere l’iniziativa: circa 2mila euro al mese per ogni detenuta.
Un’iniziativa che, però, non ha mancato di sollevare qualche perplessità nel mondo politico e tanta rabbia tra i residenti del quartiere, che lamentano di non essere stati consultati da nessuno e di temere per la propria sicurezza. Già la presenza di detenuti in regime di art. 21 che, lo scorso 13 gennaio, come stabilito dalla determinazione dirigenziale del comune di Roma, si sono recati sul posto, accompagnati dalla polizia penitenziaria, per pulire gli esterni delle due ville allo scopo di prepararli per essere utilizzabili ai fini del progetto, a detta dei residenti, ha creato problemi ai vicini, che non erano pronti a confrontarsi con questo tipo di dinamiche.
Le perplessità relative ad alcune irregolarità presenti nell’iter del progetto, sono state invece raccolte e descritte in un’interpellanza urgente presentata alla Camera dei Deputati da Renato Brunetta e sottoscritta dai deputati di Forza Italia. Dal motivo del sequestro degli immobili, alla confusione effettuata tra i numeri civici delle due ville in diversi documenti ufficiali, alla destinazione A10, ad uso ufficio, di uno dei due immobili, che risulterebbe di conseguenza inservibile agli scopi del progetto, fino alla trasparenza sui costi: sono molti, infatti, i punti confusi.
“In nessun modo è specificato il costo del progetto, limitandosi gli atti a prevedere che le utenze saranno a carico del comune”, sottolinea l’interpellanza di Forza Italia, così come le altre spese, “ma in questo modo”, accusano i parlamentari azzurri, vengono “aggirate le leggi di bilancio che prescrivono espressa indicazione della copertura di ogni nuova spesa”. Per Forza Italia, inoltre, non risulta nemmeno “reperibile la documentazione specifica relativa al bando di assegnazione e alle delibere del comune”. Nessun bando pubblico e nessuna comunicazione insomma, per invitare altre associazioni o imprese a proporre progetti alternativi per le due ville confiscate.
Poi c’è la confusione sui numeri civici. Nel protocollo d’intesa firmato con il ministero della Giustizia ad ottobre 2015, è la villa di via Kenya 72, quella con destinazione d’uso ufficio, ad essere designata per ospitare le madri detenute, che però risulta essere inidonea a questo scopo proprio perché accatastata come A10. Ma nella successiva determinazione dirigenziale del dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma, quella del 4 febbraio, viene indicata per l’accoglienza delle detenute, invece, l’altra villa, quella di via Algeria 11 angolo via Kenya 70. Ma il problema è che via Algeria 11, fa angolo con via Kenya 72, e non con via Kenya 70, che invece è il civico successivo. Si fa confusione insomma tra i due edifici come se si trattasse di un edificio solo. Quello di via Kenya 70 e quello di via Kenya 72, sono in realtà, però, due edifici differenti che presentano, peraltro, uno i requisiti per ospitare il progetto, e l’altro no.
L’operazione, quindi, secondo l’interpellanza presentata da Brunetta, pur avendo alla base un progetto lodevole, mancherebbe totalmente di trasparenza. Ma sulle critiche riguardo le inadempienze procedurali, la scarsa attenzione alla garanzia della sicurezza del quartiere e dei cittadini, e sulla trasparenza riguardo i fondi, non è stata ancora fatta del tutto chiarezza.
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