Le aveva dato, implicitamente, della "sciacquetta". E la diretta interessata non l'aveva presa benissimo. Così ne è nato un caso giudiziario che, dopo nove anni, forse, è arrivato a una conclusione. Perché la Cassazione ha deciso che definire in quei termini una donna non costituisce reato. Il fatto coinvolge Rosita Celentano e la showgirl Sara Varone. E grazie all'ultimo grado di giudizio, la figlia del celebre cantante è stata assolta dall'accusa di aver diffamato la soubrette.
La nascita della contesa
Secondo la ricostruzione del Corriere della Sera, la discussione tra le due donne risalirebbe al 9 novembre 2009, durante la trasmissione Domenica 5. In quella circostanza, Rosita Celentano avrebbe rivolto critiche a Matteo Guerra, all'epoca figura molto presente nei salotti televisivi del momento. L'argomento della puntata riguardava la sua ultima relazione con Sara Tommasi. La figlia di Celentano e Claudia Mori, in quella circostanza, avrebbe definito come "sciacquetta" e "sgallettata" ogni ragazza con cui l'uomo avesse intrecciato una storia. Tra di loro c'era anche Sara Varone che, immediatamente, aveva preteso le scuse dell'opinionista. Che, però, non sarebbero mai arrivate. Il processo, quindi, era iniziato così.
I gradi di giudizio
Celentano, in primo grado, nel giugno 2015, era stata condannata a pagare 800 euro, riformata in appello a multa per diffamazione. La variazione tra i due gradi di giudizio è stato uno sconto di 200 euro, passando dagli 800 del primo ai 600 del secondo. In queste ore, i giudici della Suprema Corte hanno annullato i precedenti verdetti, senza rinvio, contro l'imputata, ritenendo che il fatto non sussistesse.
Il commento dell'avvocato
In attesa del deposito delle
motivazioni, Armando Fergola, avvocato difensore di Varone, ha commentato: "Mi domando: cosa succederebbe se al termine di un processo andato male, come avvocato dessi a una giudice della sciacquetta?".
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